VinOsa

Aromi, odori e flavour. Un approfondimento enologico in punta di naso con la Dott. Paola Bambina.

Nella storia evolutiva dell’uomo la capacità di percepire e differenziare gli odori e i gusti elementari ha svolto un ruolo estremamente importante per la sua sopravvivenza, in quanto permetteva di riconoscere le situazioni di pericolo e di distinguere gli alimenti nocivi da quelli adeguati alla sua nutrizione. I gusti elementari sono solo cinque (amaro, acido, dolce, salato, umami) ma, nonostante ciò, l’uomo è capace di percepire un’infinità di stimoli gustativo-olfattivi differenti. Questo è possibile esclusivamente grazie al senso dell’olfatto che, oltre a determinare per i 2/5 il gusto del cibo,  permette di esplorare tutte le infinite sfumature sia di odori che di sapori.

Nonostante negli anni gli sia stato attribuito l’appellativo di senso dimenticato, perché considerato ormai superfluo per la sopravvivenza umana, l’olfatto è un senso molto potente e allo stesso tempo molto complesso.

Annick Le Guerèr nella sua opera I poteri dell’odore, sostiene che non è affatto vero che l’uomo, allontanandosi dall’animalità, abbia abbandonato l’uso dell’olfatto. Che un cambiamento sia avvenuto è indubbio, ma questo va imputato, piuttosto, ai poteri attribuiti all’olfatto stesso. Oggi l’odore può disturbare ma non fa più paura, può sedurre ma non guarire. È fonte di gradevoli o sgradevoli sensazioni, ma ha perduto i suoi poteri di vita o di morte.

L’uso dell’olfatto è continuo e indipendente dalla nostra volontà, perché collegato alla respirazione. Ci permette non solo di riconoscere il cibo buono da quello cattivo, ma anche di stimolare la nostra memoria e le nostre emozioni.

Il termine odore indica una emanazione chimica in grado di essere percepita e, allo stesso tempo, indica la qualità di una sensazione. Gli aggettivi odoroso e odorante, si riferiscono, infatti, a un oggetto che esala un odore piacevole.

Le sostanze che emanano odore sono costituite da piccole molecole in grado di scappare dalla loro fonte, di diffondersi nell’aria e raggiungere le nostre narici. Per essere volatili le molecole devono avere delle caratteristiche specifiche: devono essere leggere (il loro peso varia tra 30 e 300 unità di massa atomica) e devono realizzare deboli interazioni con il mezzo in cui si trovano. Se il mezzo è rappresentato dal vino, i composti volatili devono essere poco solubili, tendenzialmente apolari, in modo che tendano ad aggregarsi sulla superficie del liquido, in uno strato pellicolare sottile. Quando agitiamo il bicchiere, infatti, non facciamo altro che consentire alle molecole odorose più leggere e meno solubili di abbandonare lo strato superficiale del liquido e di raggiungere le nostre narici.

Le molecole odorose, per essere percepite, possono percorrere due diverse strade. La prima strada è detta nasale diretta, mediante la quale le molecole che fluttuano nell’aria entrano nelle narici durante un’inspirazione e risalgono fino alla parte superiore delle fosse nasali, dove si trova la mucosa olfattiva. Questa è rivestita da un epitelio, dotato di cellule recettrici che interagiscono con la molecola odorosa, trasmettendo impulsi elettrici al sistema nervoso. Il nostro cervello provvederà, poi, a tradurre questi impulsi in informazioni olfattive. Ma le molecole odorose possono essere percepite anche tramite una seconda via, detta retronasale, mediante la quale, in occasione dell’assaggio del vino, le molecole raggiungono l’epitelio olfattivo attraverso la parte posteriore del palato, perché trascinate dal flusso d’aria generato dalla respirazione.

Quando poniamo alcuni millilitri di vino in bocca, il vino raggiunge velocemente la nostra temperatura corporea ed entra in contatto con la nostra saliva, ricca di enzimi. In questo momento, si innesca tutta una serie di reazioni chimiche, molte delle quali mediate dagli enzimi medesimi, che portano alla “liberazione” e alla conseguente percezione di nuove molecole aromatiche – nel senso che emanano aroma – che,  per semplicità, diremo essere più pesanti e meno idrofobe di quelle che riusciamo a percepire per via nasale diretta.

Ne consegue che la via diretta e la via retronasale determinano delle sensazioni olfattive diverse per qualità e intensità degli odori. La differenza è così significativa che si fa una distinzione anche in campo semantico. Infatti, la percezione per via diretta viene definita odore, mentre la percezione per via retronasale viene definita aroma. La percezione dell’odore è del tutto slegata da quella gustativa, mentre nella percezione dell’aroma avviene l’interazione tra sensazione olfattiva, gustativa e tattile. Un termine molto utilizzato nelle descrizioni dei profili organolettici dei vini è flavour. Questo termine inglese non ha una traduzione puntuale ed esaustiva nelle altre lingue, pertanto viene utilizzato tal quale per descrivere la percezione gustativo-olfattiva nella sua interezza. Nel concetto di flavour del vino è coinvolto quindi il suo odore, il suo aroma, il suo gusto e le percezioni trigeminali.

Infine, l’odore, l’aroma e, nel complesso, il flavour di un vino designano le gradevoli sensazioni emanate da un vino giovane, più o meno intense, più o meno complesse, mentre il bouquet di un vino è l’odore acquisito con la maturazione e l’affinamento, che si esprime con l’andar del tempo.

Qui di seguito, per semplicità, useremo la parola aroma per indicare una generica molecola odorosa, sia che essa sia percepita per via diretta, sia che essa sia percepita per via retronasale.

Nello spazio di testa di un bicchiere di vino si trovano tantissime molecole volatili responsabili di una vasta gamma di sfumature aromatiche. Ad oggi ne sono state identificate circa 700, ma solo una cinquantina sono in grado di esercitare un’influenza diretta sul profilo olfattivo di un vino. Le molecole odorose contribuiscono ognuna in modo diverso a creare l’aroma e l’odore complessivo di un vino. Alcune di esse sono presenti solo in tracce ma svolgono un ruolo fondamentale nell’espressione organolettica globale di un vino, mentre altre, seppur presenti a concentrazioni generose, intervengono in maniera molto più limitata.

Questa situazione, per quanto paradossale possa sembrare, dipende dalla specificità della rivelazione da parte del nostro sistema olfattivo. Le caratteristiche olfattive di ogni molecola odorosa sono descritte mediante il concetto di soglia olfattiva, che si divide in: 

Ad esempio, il 3-mercaptoesanolo (aroma di pompelmo e frutto della passione) ha soglia di percezione pari a 60 ng/L mentre la maggior parte degli esteri di fermentazione (aromi fruttati) hanno soglie di percezione dell’ordine di qualche mg/L. Ciò significa che il 3-mercaptoesanolo sarà percepito dal sistema olfattivo umano già a partire da concentrazioni nell’ordine delle decine di ng/L, mentre gli esteri saranno percepibili solo ad una concentrazione 100.000 volte superiore.

Gli stimoli olfattivi che percepiamo non sono sempre il risultato della semplice somma algebrica dei vari composti volatili presenti considerati nella loro individualità ma, a complicare le cose, intervengono fenomeni detti di interazione percettiva.
Alcuni composti possono diminuire l’intensità percepita di altri composti attraverso fenomeni di mascheramento, mentre altri possono aumentare l’intensità e la complessità percepita attraverso fenomeni di sinergia.

Alcuni aromi sono forniti da un solo tipo di molecola, come l’acetato di isoamile che è l’unico responsabile dell’aroma di banana o l’antranilato di metile che è l’unico responsabile dell’aroma di fragola.
Altri aromi richiedono, invece, l’azione simultanea di più molecole, come nel caso dell’aroma di mela, che è dovuto al rapporto sinergico tra il 2-metil butirrato di etile, il cis-3-esenale e il trans-2-esenale, che possono intervenire sia aumentando l’intensità della percezione sia modificando la qualità della percezione, contribuendo a fornire le sfumature delle diverse varietà di mela esistenti. 

La più nota tra le classificazioni degli aromi è stata pubblicata nel 1984 dall’American Journal of Oenology and Viticulture. Questa è strutturata secondo cerchi concentrici, di cui quello più interno rappresenta il primo livello di individuazione, più generico, il secondo è il livello intermedio, mentre all’esterno si trova il livello più specifico. Tra i descrittori di primo livello troviamo: gli odori floreali, gli odori speziati, gli odori fruttati, quelli vegetali, gli aromi di frutta secca, gli odori riferibili al caramello, gli odori di legno, gli odori di terra, gli odori definiti chimici, gli odori di ossidazione e gli odori di tipo microbiologico.

Le molecole aromatiche presenti in un vino appartengono a diverse classi chimiche: alcoli, aldeidi, chetoni, esteri, acidi carbossilici, lattoni, ammine, pirazine, mercaptani, solfuri, ecc.

La complessità dell’aroma del vino è conseguenza dei molteplici meccanismi che intervengono nella sua genesi. Gli aromi posso essere prodotti dal metabolismo dell’uva che, a sua volta, è influenzato dal tipo di varietà, dal tipo di suolo, dal clima e dalle pratiche colturali; da fenomeni biochimici prefermentativi, che si svolgono principalmente durante le fasi di pigiatura e macerazione; dal metabolismo dei microrganismi che conducono le fermentazioni alcolica e malolattica; da reazioni chimiche postfermentative, che intervengono durante la conservazione e la maturazione del vino.

Gli aromi, pertanto, possono essere classificati in base alla loro origine in:

Le uve si distinguono in profumate e non profumate e, sorprendentemente, queste ultime rappresentano la quasi totalità delle varietà di Vitis vinifera presenti sulla Terra. Le uve profumate contengono esse stesse composti volatili in grado di diffondersi nell’aria e raggiungere il nostro epitelio olfattivo. Gli stessi odori che troviamo nell’uva permangono nel mosto dopo la spremitura degli acini e, in seguito, sono percepibili chiaramente anche nei vini da essi ottenuti. Si parla, quindi, di un continuum olfattivo tra uva, mosto e vino, dal momento che questi aromi permangono durante i processi di vinificazione, senza subire profonde trasformazioni che ne altererebbero la percezione. Sono questi gli aromi primari o varietali, e le uve che li contengono sono dette varietà aromatiche. Tra le varietà aromatiche (o semi-aromatiche) troviamo i Moscati, le Malvasie, il Gewürztraminer, il Cabernet Franc e il Cabernet Sauvignon.

Così, i Moscati saranno facilmente riconoscibili grazie al loro inconfondibile odore e aroma floreale, provocati dalla presenza di una famiglia di aromi varietali detti terpeni. I terpeni più importanti sono il linalolo che, secondo Èmile Peynaud, ricorderebbe il profumo del legno di rosa, il geraniolo e il nerolo, che sanno di rosa stessa. Questi sono dei costituenti fondamentali del patrimonio aromatico delle uve Moscato, al punto che il rapporto tra le loro concentrazioni consente addirittura di distinguere una varietà dall’altra.
Ad esempio, nel Moscato bianco il linalolo risulta essere il terpene predominante, con un rapporto linalolo/geraniolo superiore a 1, mentre il Moscato rosa presenta una situazione opposta, con il geraniolo come terpene dominante. Il geraniolo è predominante anche nel Gewürztraminer, che presenta, però, una nota floreale più complessa, dovuta al fatto che, oltre al geraniolo e al linalolo, contiene anche altri tipi di terpeni, come il citronellolo che, come suggerisce il nome stesso, fornisce l’odore di citronella, il terpineolo dall’odore di mughetto, e il nerolo dall’odore di rosa.

Il Cabernet Sauvignon e il Cabernet Franc sono caratterizzati da sfumature olfattive che ricordano il peperone verde, la foglia di pomodoro, il pepe verde, l’eucalipto e la menta piperita. Le molecole responsabili di tali odori sono percepibili già nelle uve e appartengono alla classe di aromi varietali chiamati metossipirazine. Le metossipirazine sono composti eterociclici azotati che provengono dal metabolismo degli amminoacidi. Le più importanti sono: la 2-metossi-3-isobutilpirazina, la 2-metossi-3-isopropilpirazina e la 2-metossi-3-secbutilpirazina che forniscono le note di peperone verde, pepe verde appena macinato, asparago e foglie di pomodoro.

Vi sono, però, altre uve, apparentemente prive di odori, che, a seguito della vinificazione, danno origine a vini dagli aromi ben definiti ed esattamente riconducibili alla varietà di origine. In questo caso il termine aroma calza perfettamente a pennello, perché se si prova a masticare un acino di queste particolari varietà sarà possibile percepire, per via retronasale, aromi molto precisi e definiti. È questo il caso del Sauvignon blanc, del Riesling, dello Chardonnay, del Pinot noir, del Merlot, del Syrah e del Grenache. Il comportamento di queste varietà è stato segnalato per la prima volta da Èmile Peynaud, che lo indicò con la locuzione di ritorno aromatico.
Egli suggerì che, in queste uve, le molecole responsabili degli aromi varietali si trovassero in una forma temporaneamente disattivata, silente e che, a seguito di particolari meccanismi, queste potessero essere trasformate nelle rispettive forme attive, sprigionando così tutto il loro potenziale aromatico.
Queste molecole nella loro forma silente vengono chiamate precursori di aroma, e sono formati dalla molecola aromatica legata ad uno zucchero mediante un legame O-glicosidico (come nel caso di terpeni e norisoprenoidi) o dalla molecola aromatica S-coniugata ad un residuo cisteinico (come nel caso dei tioli). Queste molecole così legate, essendo più pesanti e più idrofile, non riescono a staccarsi dal substrato-vino e a liberarsi nell’aria.
Tuttavia, i legami sopra descritti possono essere velocemente rotti da particolari enzimi (principalmente glicosidasi e β-liasi) che sono contenuti nella nostra saliva (ecco perché percepiamo gli aromi dopo la masticazione dell’acino), nell’uva pigiata e nei lieviti che conducono la fermentazione alcolica (ecco perché gli aromi appaiono durante la vinificazione).

Così le uve Sauvignon blanc appaiono totalmente prive di profumo ma sprigionano, dopo la fermentazione alcolica, i caratteristici aromi di frutto della passione, gemma di cassis, pompelmo, mango, mela cotogna e il sentore erbaceo della pianta di bosso, odore molto particolare che ricorda quello dell’urina di gatto. I responsabili di tutte queste sfumature aromatiche sono i tioli, presenti a bassissime concentrazioni ma caratterizzati da soglie di percezione ancora più basse. I più importanti sono il 3-mercaptoesanolo, 4-metil-4-mercaptopentan-2-one, 3-mercaptoesilacetato, 4-metil-4-mercaptopentanolo, 3-metil-3-mercaptobutanolo.

Altro caso particolare è rappresentato dal Riesling. Le uve di questa varietà presentano deboli odori floreali, dovuti alla presenza di terpeni liberi, come linalolo, geraniolo, nerolo, α-terpineolo e citronellolo. Ma dopo il processo di vinificazione, e soprattutto dopo un periodo di affinamento, i vini cominciano ad offrire al naso sentori di idrocarburi, che ricordano l’odore di cherosene. La molecola responsabile di questi sentori è il TDN (1,1,6-trimetil-1-2-diidronaftalene).
Questa molecola appartiene ad un’altra classe di aromi varietali, chiamati norisoprenoidi. I norisoprenoidi derivano dalla degradazione di molecole più grandi chiamate carotenoidi, pigmenti i cui colori variano dal giallo, all’arancione, al rosso, che hanno funzione di difesa nei confronti delle degradazioni foto-ossidative. Man mano che la maturazione dell’acino avanza, queste molecole, da grandi e colorate, si scindono in molecole piccole e fortemente odorose.

wild camomile flowers


I norisoprenoidi si dividono in due classi: megastigmani e non megastigmani. Alcuni megastigmani si trovano già nelle uve e nei vini giovani, come il β-damascenone, che ricorda i fiori di camomilla, i frutti esotici, il miele e la cera d’api. Anche questo è stato identificato in Riesling, ma è verosimilmente presente in moltissime altre varietà, come i Moscati. Il β-damascenone ha, in verità, un impatto olfattivo diretto molto limitato, ma contribuisce indirettamente alla composizione aromatica dei vini attraverso fenomeni di sinergia, abbassando la soglia di percezione di altri composti.

Altri megastigmani e i non megastigmani si liberano, invece, durante l’affinamento. Ed è tra le forme non megastigmane che ritroviamo il nostro TDN. La sua soglia di percezione è di 20 µg/L ma nei Riesling invecchiati può raggiungere la concentrazione di 200 µg/L.

Infine, la terza categoria di varietà è costituita da uve caratterizzate da una debole identità olfattiva, i cui vini presentano odori e aromi che dipendono quasi esclusivamente dalla tecnologia di vinificazione.
Questi sono gli aromi cosiddetti fermentativi, ovvero molecole odorose prodotte dal metabolismo dei lieviti durante la fermentazione alcolica e dei batteri lattici durante la fermentazione malolattica.

Gli aromi fermentativi si dividono in 3 famiglie di composti: alcoli superiori, acidi grassi ed esteri. Gli alcoli superiori sono presenti nei vini in concentrazioni variabili da 150 a 550 mg/L. I principali sono: il propanolo, il butanolo, l’alcol isobutilico, l’alcol amilico attivo, l’alcol isoamilico e il 2-feniletanolo. Possiedono aromi molto intensi, generalmente sgradevoli in purezza.
Ad esempio, l’alcol amilico attivo e l’alcol isoamilico ricordano gli odori pungenti di vernice e solvente. L’unico piacevole è il 2-feniletanolo, che apporta un delicato aroma di petali di rosa del tutto simile a quello emanato da alcuni terpeni. Tutti gli alcoli superiori, anche quelli sgradevoli, quando presenti a concentrazioni adeguate (generalmente minori di 300 mg/L), giocano un ruolo molto importante nella percezione globale dell’aroma del vino perché partecipano alla complessità aromatica ed alla struttura. Ma, quando presenti a concentrazioni eccessive (maggiori di 300 mg/L) possono, invece, mascherare la finezza aromatica, banalizzando l’odore dei vini.

Tra gli acidi grassi volatili, sicuramente il più degno di nota è l’acido acetico, che costituisce da solo il 90 % dell’acidità volatile. Altri acidi grassi importanti sono: l’acido 2-metilpropanoico, il 2 e il 3-metilbutanoico, il butirrico, l’esanoico, l’ottanoico, e il decanoico.
L’acido butirrico emana un forte odore di burro, mentre gli ultimi tre emanano odori di formaggio irrancidito, che ricordano l’odore delle capre. Non a caso sono chiamati rispettivamente anche con i nomi comuni: acido capronico, caprilico e caprinico.

I principali alcoli superiori e gli acidi grassi volatili sono presenti in tutti i vini, e possono essere considerati la base odorosa comune a tutte le bevande fermentate.
A questi, però, vanno aggiunti altri tipi di aromi, decisamente più gradevoli, che si formano durante la fermentazione alcolica. Questi aromi sono gli esteri, che si dividono in esteri etilici degli acidi grassi ed esteri acetici degli alcoli superiori, che emanano piacevolissimi profumi di frutta, come banana, mela, ananas, ecc.

Gli esteri sono formalmente prodotti dalla reazione di esterificazione tra un alcol (etilico o superiore) e un acido grasso ma, nel caso della fermentazione alcolica, questa reazione è catalizzata da particolari enzimi contenuti nei lieviti. Durante il processo di accumulo, questi esteri raggiungono concentrazioni superiori rispetto a quelle previste dalla legge dell’azione di massa.
Ma, una volta terminata la fermentazione alcolica, il sistema tenderà naturalmente a raggiungere l’equilibrio: inizierà, infatti, a prevalere la reazione inversa all’esterificazione, cioè l’idrolisi degli esteri, con la formazione degli alcoli e degli acidi grassi da cui derivano. In questo modo, la reazione raggiungerà l’equilibrio, e le percezioni olfattive relative agli esteri diminuiranno nel corso della conservazione. Pertanto, un vino il cui profilo aromatico è basato esclusivamente su questi tipi di aromi andrà inevitabilmente incontro ad un decadimento olfattivo, in un tempo tanto breve quanto maggiore è la temperatura di conservazione.

Un esempio di estere di fermentazione è fornito dall’acetato di isoamile, che si forma per reazione tra l’acido acetico e l’alcol isoamilico.
Questo è un esempio molto curioso.
Infatti, le due molecole nella loro individualità emanano un odore molto sgradevole, ma a seguito della loro esterificazione danno origine ad un piacevole aroma di banana. Lo stesso può dirsi per il butanoato di etile, l’esanoato di etile, l’ottanoato di etile e il 2-metilpropanoato di etile che forniscono profumi di melone, mela verde e frutti rossi. L’estere che si forma per reazione tra l’alcol etilico e l’acido acetico è, invece, l’etil acetato. Questo composto ha soglia di percezione 200 volte più bassa di quella dell’acido acetico e ha anch’esso un odore pungente, sgradevole. È, infatti, il responsabile delle note olfattive dell’acescenza. Ma, quando presente a basse concentrazioni, è un componente di base fondamentale, in quanto rappresenta uno degli elementi della durezza e del vigore dei vini rossi.

Gli esteri, quindi, sono i responsabili della maggior parte degli aromi fruttati dei vini giovani, sia bianchi che rossi. Questo non significa, però, che i vini ottenuti da uve non aromatiche abbiano tutti un odore identico. Infatti, anche se i composti sono relativamente pochi e sempre gli stessi, il profumo complessivo dipende dai sottili equilibri che si stabiliscono tra le molecole, che creano una molteplicità infinita di sfumature sensoriali.

Anche durante la fermentazione malolattica si assiste ad una modifica del quadro olfattivo del vino. In genere, si osserva l’aumento di concentrazione della molecola diacetile, che apporta note burrose all’aroma complessivo del vino, oltre all’aumento dei tenori in guaiacolo, 4-vinilguaiacolo e vanillina.
I primi due apportano aromi affumicati, di caffè torrefatto, mentre la vanillina apporta aromi di vaniglia.

Infine, durante la maturazione del vino si assiste ad un riarrangiamento del quadro aromatico dei vini, che evolverà verso il cosiddetto bouquet di affinamento. Durante l’affinamento, infatti, decorrono naturalmente una serie di reazioni di trasformazione, a carico di aromi varietali e di aromi fermentativi, e di formazione degli aromi postfermentativi.
Le principali reazioni sono: esterificazione, eterificazione, idrolisi degli esteri di fermentazione, idrolisi dei precursori d’aroma glicosilati, trasformazione acido catalizzata degli aromi varietali liberi e apporto di aromi esogeni da parte dei materiali con cui il vino entra in contatto durante il processo di affinamento.

Questa serie di reazioni dipende, quindi, dalla qualità dell’uva di partenza e dalle tecnologie fermentative e postfermentative messe in atto. L’affinamento del vino può avvenire al riparo dall’aria, generalmente in acciaio, o con debole esposizione all’aria, generalmente in barrique. Le barriques sono piccoli contenitori di rovere, di 225 o 228 litri, che non vanno considerati come semplici recipienti ma come veri e propri reattori.
Le barriques, infatti, realizzano una leggera micro-ossigenazione del vino, fondamentale soprattutto per ottenere la stabilizzazione del colore dei vini rossi. Il contatto con il legno, inoltre, contribuisce ad amplificare le sensazioni olfattive del vino grazie alla cessione di particolari molecole da parte del legno stesso, e grazie all’assorbimento di molecole presenti nel vino.
Le principali molecole che sono cedute dal legno al vino sono: la vanillina, l’eugenolo, che conferisce note di chiodi di garofano, il 4-metilguaiacolo, con odore di vaniglia e legno tostato, il siringolo, dal forte odore di affumicato, il whisky-lattone (3-meti-γ-ottalattone) dalle note di noce di cocco, il 4-vinilguaiacolo, dall’odore di paglia bruciata, le aldeidi furaniche, che apportano odori di nocciola e mandorla tostata e l’acido fenilacetico che apporta l’odore di miele. La quantità di questi composti aumenta all’aumentare del grado di tostatura del legno oltre che dipendere da altri elementi di contorno.

Inoltre, molti esteri di origine fermentativa vengono assorbiti dalla superficie del legno, con la conseguente perdita del carattere fruttato proprio dei vini giovani e l’acquisto di maggiore complessità olfattiva.  

Tradotto letteralmente, come un mazzo di fiori, il bouquet, in campo enologico, assume i connotati di una metafora, usata per indicare l’insieme delle impressioni odorose di un vino maturo che alcuni, poeticamente, considerano come l’anima nobile dei grandi vini.  


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