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Il vino è davvero cancerogeno? Breve riflessione di carattere scientifico

Procediamo con ordine e disciplina.

Il giorno 24 gennaio 2022 la CNN pubblica un articolo dal titolo “If you think that glass of wine is good for you, it’s time to reconsider” (vedi articolo originale QUI) nel quale Jonathan Reiner – opinionista del canale americano – riporta le parole della dottoressa Beatriz Champagne (nomen omen, la dottoressa me ne scuserà) della World Earth Federation secondo cui “our position is that studies showing a significant cardioprotective effect of alcohol consumption have by-and-large been observational, inconsistent, funded by the alcohol industry, and/or not subject to randomized control”.
A seguire, tutte le agenzie di stampa, divulgatori scientifici, sommelier, professori, appassionati, hanno fatto a gara a demonizzare l’assunzione di vino sulla base del noto detto: “la scienza dice…”, a cui, e come ti sbagli, sono seguite lunghissime diatribe tra fautori e detrattori del “un bicchiere di vino al giorno fa bene alla salute”.

A questo punto, mi sono posta una domanda: cosa riportano veramente gli studi scientifici su questo argomento e come vanno letti?

Hanno ragione quelli che dicono che bere vino fa male a prescindere dalle quantità assunte?

Ha senso una posizione radicale, da una parte o dall’altra della barricata delle opposte fazioni?

Piccola chiosa non richiesta, ma per me doverosa: chissà perché, ogni volta che leggo che uno studio è –funded by the nome-dell’industria-a-piacere – senza indicazioni di sorta di prove incontrovertibili a supporto dell’affermazione, ho il sospetto che si tratti di una colossale sciocchezza anche se esempi di grosse corporazioni che nascondono dati scomodi sono presenti nella storia della scienza (per esempio QUI).

No perché la scienza da sola non dice nulla. Sono le scienziate e gli scienziati, cioè degli esseri umani, che dicono le cose sulla base dei loro dati sperimentali la cui interpretazione può essere influenzata in modo più o meno marcato dai bias cognitivi di chi produce o legge tali dati.

Quindi, le interpretazioni degli esperimenti condotti da persone possono essere ritenute corrette solo se riescono a superare la prova del tempo, cioè, in altre parole, solo se altri esseri umani nel corso del tempo sono in grado di ottenere delle risposte congruenti con le ipotesi dei loro predecessori.

My fault, di sicuro.

Altre precisazioni, questa volta però di carattere terminologico. Così alla fine ci capiamo tutti.

In ambito farmacologico è necessario distinguere il concetto di sostanza tossica da quello di veleno e da quello, ancora, di tossina:

Semplificando molto, si può dire che la tossicità di un composto si può distinguere in acuta e cronica.

Da un punto di vista pratico, la misura della tossicità acuta si valuta mediante un parametro che si chiama LD50, cioè Lethal Dose 50, che corrisponde alla quantità di una certa sostanza assunta in una volta sola ed in grado di provocare la morte di almeno il 50% della popolazione degli animali da laboratorio usati come riferimento (per esempio conigli, topi etc.).


La valutazione della tossicità cronica è un po’ più complicata perché prevede una sperimentazione animale di lunga durata che porta all’elaborazione di un parametro che viene indicato con la sigla ADI (acronimo di Acceptable Daily Intake) che corrisponde alla quantità giornaliera di un dato composto che può essere assunta senza incorrere in problemi di tossicità.

Entrambi i parametri appena descritti (LD50 e ADI) si misurano in grammi di sostanza per chilogrammo di peso corporeo.
Quindi, per restare in ambito enologico, il valore dell’ADI per i solfiti (normalmente presenti nei vini) è di 0.7 mg/kg (QUI), cioè un individuo di 80 kg può assumere 56 mg (cioè 0,7mg/kg X 80 kg) di solfiti al giorno senza incorrere in problemi di tossicità cronica.
La LD50 del solfito di sodio (una delle tante forme di solfito) è, invece, di 2.6 g/kg (QUI): lo stesso individuo di 80 kg deve assumere in un solo colpo ben 208 g di tale sale (2,6g/kg X 80 kg) per avere problemi di intossicazione acuta.

Ora, dopo aver spiegato i termini e aver fatto i calcoli, procediamo ancora.

Tutti noi sappiamo che cosa sia l’OMS.

Tra i tanti suoi compiti vi è anche quello di classificare, catalogare e descrivere in schede essenzialmente descrittivo-quantitative tutte le sostanze tossiche presenti sul pianeta.

Da questa enorme classificazione, l’Unione Europea per regolamento ha decretato che ogni qual volta vi sia l’uso di una di queste sostanze vi corra anche l’obbligo di riportare la sua appartenenza alla lista delle sostanze tossiche stilata dall’OMS e di inserirne dettagli specifici di tossicità.

E dunque.

L’alcol fa parte di questa lista e su questo non c’è molto da aggiungere.

In particolare, viene detto che l’alcol è considerato cancerogeno.

Ma facciamo una valutazione della tossicità acuta e di quella cronica dell’alcol sulla base dei dati WHO/IARC (per proseguire quanto detto qui sopra nella parte sulle definizioni).

Andando a spulciare con attenzione i dati presenti nella scheda e prendendo a riferimento quanto riportato come dose letale 50 di questa specifica sostanza, si scopre che la quantità in grado di provocare intossicazione acuta (finanche la morte) è di 7,06 g per chilogrammo di peso corporeo del bevitore.

In altre parole, facendo ancora altri due calcoli e presupponendo di fare le nostre operazioni sulla base di un bevitore sempre di circa 80 kg, ne viene che questo signore per morire a causa dell’alcool ingerito – secondo l’OMS e tutti i calcoli derivati che qualsiasi ente scientifico o di ricerca che si occupino di questo argomento possono o hanno fatto – deve berne 7,06 grammi per ciascuno dei suoi 80 kg.

E 7 grammi per 80 kilogrammi fa 560 grammi di alcol da ingerire.

A cosa corrispondono queste quantità di grammi-alcol facendo riferimento invece ai litri di vino?

Considerato che mediamente il vino è composto da circa il 12% in volume di alcool (non parlo di amaroni a 18°, anche se i calcoli si possono comunque fare anche in quel caso, o di cognac o vodka ben più alcoliche) l’avventore dovrebbe bersi circa 4.7 Litri di vino in un sol colpo per poter incorrere in problemi di salute immediati.

Ripeto, 4.5 Litri

[Box 1 per i calcoli precisi].

E non spalmati in un anno di bevute o in un mese o anche in una settimana.

No, il signore di 80 kili i 4.5 L se li deve bere tutti in una sola volta.

Questo ricorda tanto la storia del resveratrolo che fa bene e dunque dovrebbe andare a supporto delle teorie dei fautori della tesi secondo cui “il vino fa bene”, dimenticando, anche qui, che sempre con due calcoli in croce si viene a scoprire che in questo caso di litri di vino bisognerebbe berne la bellezza di 320 al giorno per poter trarne qualche beneficio (ne avevamo già parlato QUI).

320 litri sono una bella bevuta. Ma anche quattro litri e mezzo non sono niente male.

Taciamo, inoltre, il fatto che con quelle quantità di vino chiunque morirebbe all’istante e non a causa di un cancro che non farebbe in tempo a insorgere ma per intossicazione acuta (e comunque al di sopra di 8 litri di acqua bevuti in un’ora crepi comunque, considerato che il vino è per circa l’80% acqua: alla faccia del cancro).

Da questa prima disamina possiamo dire che la dottoressa Champagne è stata un po’ troppo frettolosa nel voler affermare perentoriamente che l’alcol è cancerogeno a tutte le concentrazioni e questo indipendentemente da chi finanzia le ricerche scientifiche.

Adesso andiamo oltre e concentriamoci su un altro paio di articoli sempre sul medesimo argomento del WHO/IARC che nell’ultimo periodo stanno anch’essi facendo discutere molto e dividono in squadre antitetiche ognuna delle quali è abbarbicata con le unghie e con i denti alle proprie convinzioni.

Prima però ricordiamo che la dose giornaliera accettabile (ADI) di alcol senza incorrere nel rischio di cancro è superiore ai 3 g/kg (QUI).

Questo valore, però, è misurato sui ratti.

E nell’uomo?

Di certo non è possibile fare esperimenti sugli esseri umani per stabilire la soglia ADI.
Quindi, per convenzione si assume che gli esseri umani siano molto più sensibili degli animali di laboratorio cosicché il valore di 3 g/kg viene diviso per 100 (QUI la normativa che spiega bene come individuare l’ADI per gli esseri umani).
Insomma, l’ADI dell’alcol etilico per gli umani dovrebbe essere all’incirca di 0.03 g/kg al giorno.

Questo cosa significa per un individuo di 80 kg di peso?

Che può assumere circa 2.4 g di alcol al giorno senza temere di avere conseguenze a lungo termine per quanto riguarda l’insorgenza di una delle varie tipologie di cancro associate all’uso di alcol.

A questo punto le cose si fanno un po’ confuse perché le indicazioni in merito all’assunzione di alcol cambiano da paese a paese. Per esempio, se apriamo la pagina Wikipedia internazionale (QUI) si legge che il maximum daily intake of alcohol, cioè la dose massima ammissibile giornaliera, è 20 g in Austria, 13.6 g in Canada, 10 g in Francia e Germania, 8 g in Islanda, 12 g in Italia, 19.75 g in Giappone etc. etc.

Insomma, ognuno suggerisce quello che gli pare.

Ma la cosa interessante è che la dose indicata è espressa in termini assoluti, mentre le unità ADI, come abbiamo visto, sono in grammi X chilogrammo di peso corporeo X giorno.
In altre parole, i suggerimenti propongono che un Italiano di 80 kg possa assumere la medesima quantità di alcol di un altro cittadino italiano del peso di 60 kg oppure di un individuo del peso di 120 kg.

Possibile che non esista differenza nei processi metabolici di individui dal peso differente?

Se è così perché esprimere l’ADI in g/kg/d? E come mai gli Austriaci possono assimilare più alcol degli Italiani e degli Islandesi?
Altra cosa interessante: se il valore ADI si ottiene dividendo per 100 il numero derivante dalla sperimentazione animale, da dove vengono fuori i valori massimi elencati per ogni paese?

La risposta a quest’ultima domanda è insita nella normativa citata più sopra:

“Se la ADI deve essere stabilita sulla base di dati sull’uomo, non deve essere applicato alcun fattore di incertezza per l’estrapolazione dagli animali all’uomo. In tal modo, quando per il calcolo di una ADI si dispone di dati di buona qualità sull’uomo, è opportuno applicare un fattore di incertezza pari solo a 10 per tenere conto delle variazioni nelle risposte individuali tra gli esseri umani”.

Ed allora, se tanto mi dà tanto, i valori suggeriti dai vari paesi sono di poco inferiori alle dosi giornaliere accettabili per un individuo dal peso medio di 80 kg e considerando le specifiche caratteristiche metaboliche delle popolazioni che abitano quei paesi [BOX2 per i calcoli nei dettagli].

Torniamo, ora, ai lavori di cui si diceva più sopra.

Il primo articolo è un capitolo di un libro edito proprio da WHO/IARC a firma di Jurgen Rehm e Kevin Shield (QUI). In questo lavoro gli autori descrivono la correlazione tra consumo di alcol e insorgenza di diverse tipologie di cancro. Tra queste ci sono il cancro alla bocca, all’esofago, allo stomaco, al colon etc. etc.
La cosa interessante è che gli autori riportano anche gli aspetti quantitativi di tali correlazioni descrivendo il rischio relativo dell’insorgenza dei tumori in funzione del consumo giornaliero di alcol etilico [BOX3 per la definizione di rischio relativo].
In pratica per raddoppiare l’incidenza di cancro alla bocca (da 1 a 2 %) occorre assumere almeno 25 g di alcol al giorno per un periodo di tempo molto lungo.

Quanto lungo? Beh, dipende da tanti parametri come predisposizione genetica, condizioni fisiche, lavorative, esposizione concomitante ad altri fattori di rischio etc.
Ed a quanto vino corrispondono 25 g di alcol? Ritornando ai calcoli riportati nel BOX1, corrispondono a circa due bicchieri di vino al giorno, tutti i giorni, per anni ed anni.
Quanti anni? Almeno una decina come riportato altrove (QUI).

Cosa dire?

È vero: l’assunzione di alcol aumenta il rischio relativo di cancro, ma bere saltuariamente uno/due bicchieri di vino non rappresenta di certo un rischio molto elevato, anzi.
Sono i numeri contenuti nel capitolo scritto da Rehm e Shield a dircelo. Si tratta degli stessi autori che hanno proposto quest’anno un altro lavoro (già citato poco fa ma, repetita iuvant, QUI) in cui aggiornano quanto riportato nel capitolo appena discusso.
In questo nuovo lavoro, viene indicato che anche un consumo moderato di alcol può portare all’insorgenza del cancro (uno qualsiasi o un insieme di quelli elencati prima).

Cosa vuol dire consumo moderato? Gli autori hanno verificato l’insorgenza di tumori per assunzione di meno di 20 g di alcol al giorno, laddove questo numero deve essere considerato come un valore medio per una popolazione di individui aventi tutti lo stesso peso. Meno di 20 g di alcol al giorno che devono essere assunti per tempi molto lunghi che, sulla base delle ipotesi degli autori, corrispondono almeno a dieci anni. Quanto alcol viene ingerito in dieci anni assumendo un consumo moderato? Semplice: 73000 g.

A quanto vino corrisponde questo ammontare di alcol? Sempre sulla base dei calcoli riportati nel BOX1, bisogna moderatamente bere circa 4.877 bicchieri di vino che corrispondono a circa 608 L di vino.

Insomma, bisogna bere tutti i giorni circa due bicchieri di vino per almeno dieci anni.

È possibile? Certo che sì. Ma da qui a concludere che IN ASSOLUTO il vino è cancerogeno a qualsiasi dose ce ne passa. In altre parole, per spiegare meglio il mio uso di “in assoluto”, possiamo riaffermare che Paracelso aveva ragione: è la dose che fa il veleno.

Il rischio di contrarre tumori mediante consumi saltuari di alcol a dosi abbastanza morigerate è piuttosto limitato, checchè se ne dica.


La misura del grado alcolico di un vino si riferisce alla percentuale in volume di alcol etilico contenuto nella bevanda. Questo vuol dire che se un vino ha un grado alcolico pari a 12 (si scrive 12°) ci sono 12 mL di alcol etilico in 100 mL di bevanda.
È necessario, comunque, puntualizzare che i gradi alcolici sono caduti in disuso e che sulle bottiglie di vino oggi vengono indicate proprio le percentuali volumetriche. Quindi, sulle etichette possiamo leggere che un vino ha un contenuto di alcol etilico pari a 11%, 12%, 18% etc. che sta ad indicare che su 100 mL di bevanda ci sono rispettivamente 11, 12 e 18 mL di alcol.

Conoscendo la concentrazione volumetrica dell’alcol etilico nel vino (così come di qualsiasi bevanda alcolica), è possibile calcolare facilmente la quantità in grammi di tale composto. Basta ricordarsi che la densità dell’alcol etilico (a 20 °C) è 0.8 g/mL. Se una bottiglia di vino da 75 cL (che corrisponde a 750 mL) è al 12% in volume di alcol etilico, allora essa contiene 90 mL di alcol cioè: (750 mL x 12)/100. Moltiplicando tale ammontare per la densità (cioè: 90 mL x 0.8 g/mL) si ottiene una quantità di alcol etilico pari a 72 g. Quanti bicchieri di vino si possono ottenere da una bottiglia di 75 cL? In genere, sono sei. Quindi, ogni bicchiere di vino contiene 125 mL di bevanda. Facendo le proporzioni si ottiene che la quantità in grammi di alcol etilico in ogni bicchiere è 15 g.

Quanti bicchieri di vino bisogna bere perché un individuo del peso di 80 kg possa raggiungere la dose letale di 560 g? Il calcolo è semplice. Basta dividere la dose letale per la quantità di alcol in un bicchiere di vino. In pratica, bisogna bere circa 37 bicchieri di vino che corrispondono a circa 6 bottiglie da 75 cL, ovvero circa 4.5 L di vino.


Supponiamo che per gli esseri umani valga il valore di ADI trovato per i ratti, cioè 3 g/kg. Se dividiamo per 10, si ottiene che un individuo dal peso medio di 80 kg può assumere quotidianamente un massimo di: (3/10) x 80 g = 24 g di alcol. Questa dose è molto vicina a quella suggerita in Austria (20 g) e Giappone (19.75 g), il doppio di quella suggerita in Italia (12 g), più del doppio di quanto suggerito in Francia (10 g), Germania (10 g) e Islanda (8 g).


Il rischio relativo è il rapporto tra la probabilità che si verifichi un evento in un gruppo esposto (nel nostro caso all’assunzione di alcol) e la probabilità che si verifichi lo stesso evento in un gruppo di non esposti. In altre parole, il rischio relativo misura il numero di volte (in più o in meno) in cui un evento (nel nostro caso l’insorgenza di cancro in funzione dell’assunzione di alcol) si verifica in un gruppo di persone rispetto ad un altro. Se il rapporto è pari a 1, allora non c’è associazione tra esposizione ed evento. Se il rapporto è maggiore di uno, la popolazione esposta al fattore di rischio (assunzione di alcol) è più propensa a sviluppare un evento avverso (insorgenza di cancro) rispetto all’altra.


Letture consigliate

www.cdc.gov

www.chemsafetypro.com

https://eur-lex.europa.eu

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