VinOsa

Il vino nella scienza e la scienza del vino. Quattro chiacchiere con il botanico: Massimo Labra

Il Professor Massimo Labra è ordinario di botanica generale presso l’Università degli Studi Milano-Bicocca. Ha fondato il gruppo di ricerca multidisciplinare “ZooPlantLab” nel quale coordina le ricerche nell’ambito della biologia vegetale.
Ha fondato lo spin-off FEM2 – Ambiente S.r.l. dell’Università degli Studi Milano-Bicocca e recentemente la StartUp Trusticert che fornisce supporto regolatorio e scientifico per lo sviluppo di prodotti a rischio ridotto nei settori alimentare e cosmetico.
La sua poliedrica e smisurata attività scientifica si concretizza in circa 200 pubblicazioni e capitoli di interesse sia nazionale che internazionale.

Trovare il professore tra i riferimenti del mastodontico e internazionalmente conosciuto Wine Grapes della regina del vino Janis Robinson fa decisamente un certo effetto!

Professor Labra, ci diamo del tu?

Va bene!

Ci parli del tuo percorso accademico e di come è nata la tua passione per la biologia?

Mi sono appassionato alla biologia sin da giovane, diciamo a 13-14 anni durante le scuole superiori. Mi interessava capire i segreti delle diverse forme viventi, mi piaceva sperimentare e anche pasticciare in laboratorio.
Mi sono iscritto all’Università pensando di voler fare il genetista umano e poi sono finito a fare il botanico. Da neolaureato mi hanno offerto la possibilità di seguire un progetto di dottorato sulla vite ed il vino e da lì è partito un mondo.
Ho scoperto che dietro a questa pianta – e alla bevanda che se ne ricava – c’è un mondo di storia e cultura, di pratiche e conoscenze, di biodiversità e di saperi.

Nel 2006 ho vinto un concorso da ricercatore all’Università di Milano-Bicocca e in circa 15 anni ho lavorato per costruire un gruppo multidisciplinare, aperto e curioso dove la scienza è protagonista ma dove c’è spazio anche per l’umanità e le relazioni tra le persone.

Hai un curriculum non solo di tipo accademico, ma anche di tipo imprenditoriale. Questo è un valore aggiunto di rara importanza per un accademico.
Ci parli un poco dello spin-off FEM2 e dei servizi che offre nel settore viti-vinicolo?

Ho sempre pensato che la ricerca dovesse portare un valore aggiunto alla società e FEM2 Ambiente mi ha permesso di concretizzare questa idea.
Con FEM2 alcune ricerche diventavano servizi e prodotti per i cittadini. Per esempio, abbiamo brevettato e realizzato un kit fai da te per analizzare l’acqua del rubinetto.
In ambito vitivinicolo ci siano concentrati sulla certificazione varietale mediante l’uso di approcci biomolecolari.
FEM2 Ambiente è in grado di individuare prodotti contraffatti ma anche di certificare l’identità e la qualità di un vino.

L’ultima frontiera delle nostre ricerche e innovazioni riguarda il microbioma della vite e del vino, ovvero quell’insieme di microorganismi che presenti sulla superficie della bacca possono contribuire alla trasformazione del mosto in vino, arricchendolo di sapori e profumi unici.


In un tuo recente lavoro su Frontiers in Microbiology avete differenziato il microbioma dell’uva proveniente da vigneti spagnoli e del nord Italia.

Puoi spiegare ai lettori del blog cosa è un microbioma?

Mi riallaccio alla risposta precedente per sottolineare che ciascun vitigno oltre ad essere caratterizzato da un suo imprinting genetico è anche legato al territorio attraverso i microorganismi che dal suolo, dall’aria e dalla biodiversità di un campo raggiungono la bacca e la rendono unica e intimamente legata al vigneto. Questo microbioma è una delle componenti più importanti che caratterizzano un vino di una zona e lo distinguono da un’altra.
Ad oggi questa tecnica è molto promettente per tracciare e caratterizzare vitigni e vini di elevato profilo.

Quale parte del Nord Italia avete preso in considerazione? Quale parte della Spagna avete usato come termine di paragone? Quali differenze ci sono nei microbiomi di queste zone che avete preso in considerazione?

In Italia abbiamo preso campioni del nord nelle zone di Trento e di Pavia mentre in Spagna abbiamo preso campioni di vite dalla zona del La Rioja.

Carta Viticola Cembra – Courtesy Fondazione E. Mach


Le differenze sono legate a una serie di batteri e lieviti che sono intimamente legati a questi territori e che combinati insieme forniscono metaboliti differenti e unici.

Esiste una correlazione tra microbioma del suolo e quello dei vitigni su di esso coltivato? Ed in che modo il microbioma può essere correlato alla qualità di un vino?

I dati attuali dicono che il suolo è forse la principale risorsa del microbioma della bacca.
Si è anche ipotizzato che i microorganismi della bacca derivino in gran parte dal suolo: per esempio in momenti di pioggia quando le gocce di acqua colpiscono con violenza i suoli e portano in aria i diversi batteri.
Un altro ruolo rilevante potrebbero averlo gli insetti che andando a visitare la pianta potrebbero influenzare il microbioma dei frutti.

I tuoi studi sul microbioma della Vitis vinifera L. e dei suoli su cui viene coltivata ti hanno mai consentito di essere contattato da qualche azienda o ente di certificazione per la valutazione di eventuali sofisticazioni?
Puoi raccontare ai nostri lettori qualche episodio particolare che ti è rimasto particolarmente impresso?

Devo dire che l’interesse per queste ricerche e per l’identità dei vini è davvero molto elevato al punto che con alcuni miei ex dottorandi abbiamo addirittura creato la spin off di cui accennavo qui sopra, la FEM2, che offre servizi per le imprese del settore.


Tra gli episodi più interessanti ricordo aziende che ci hanno chiesto di controllare che le loro uve da tavola non venissero clonate in modo abusivo e rivendute senza autorizzazione, oppure aziende di livello che volevano dimostrare che i loro prodotti avessero un valore aggiunto non solo con una degustazione ma anche evidenziando che il loro territorio fosse in grado di fornire microorganismi buoni e unici capaci di dare alla bacca, al mosto e al vino aromi peculiari di qualità.

Una storia divertente riguarda la Sardegna, isola che amo e che presenta una straordinaria biodiversità.

Vitigni della Sardegna – Courtesy CONVISAR 2011


Con gli amici sardi e con altri colleghi spagnoli abbiamo ricostruito la storia del Cannonau e dimostrato che nonostante la Garnacha spagnola sia geneticamente identica al Cannonau, sono le condizioni pedoclimatiche ed il microbioma dell’isola a fornire a questo cultivar il suo carattere deciso ed il suo sapore unico.


Davvero molto bello!
Infatti nelle tavole dell’Ampelografia Universale Storica Illustrata, che vengono anche usate in Wine Grapes di cui abbiamo accennato prima, il Cannonau nemmeno viene citato e compare solo sotto la voce della Grenache.


Come ormai consuetudine di questo blog, è arrivato il momento della domanda provocatoria numero 1.

Ipotizziamo che ti fosse messo a disposizione un fondo illimitato da poter gestire per la viticultura, senza nemmeno limiti territoriali. Immagina che non ci siano controlli, vincoli e nessun obbligo di rendicontazione.
Come lo useresti?

Forse lavorerei sui genomi per migliorare le cultivar rendendole più resistenti, meno esigenti e più plastiche. Mi piacerebbe però anche capire meglio le dinamiche dei microbiomi. In ultimo ragionerei anche sulla vite da tavola che è una risorsa importante per molti paesi. Insomma, non avrei difficoltà a spendere molti soldi per portare avanti tante ricerche interessanti.

Domanda provocatoria numero 2.
La moda del momento è la viticultura biodinamica. Cosa pensi di questa pratica?

Penso che piuttosto che pensare alla mode sia meglio ragionare sulla realtà in modo scientifico, non ricorrendo a corni sotterrati ma alla scienza e alla tecnologia

Vino preferito?

Questa è la domanda più difficile. Direi Turriga sardo, ma non disdegno neanche un buon Traminer e per finire un buon vino da meditazione.
Anche su questo direi di essere un po’ indeciso.

A chi lo dici 🙂

Exit mobile version