La professoressa Serenella Nardi è ordinaria di Chimica Agraria presso l’Università degli Studi di Padova. Qui si occupa dello studio della sostanza organica naturale, del suo ruolo nella qualità dei suoli e del suo contributo alla nutrizione vegetale.
Tra le tante cose, la professoressa ha anche sviluppato degli studi relativi all’interazione tra sostanza organica e componente inorganica dei suoli per la comprensione dei processi di trasformazione delle rocce e dell’evoluzione delle varie forme di fosforo come indicatori dell’età di un suolo.
In particolare, Serenella ha analizzato campioni di suoli provenienti da un sito dell’età del Bronzo situato nei pressi di Verona e da uno situato sull’altopiano di Asiago, in provincia di Vicenza.
La sua attività scientifica si concretizza in un record di oltre 200 pubblicazioni su riviste e libri di interesse nazionale e internazionale.
Professoressa, ci possiamo dare del tu?
Sicuro!
Prima di addentrarci nei temi viticoli, vorrei che tu ci parlassi di un altro tema che mi incuriosisce moltissimo: il tuo studio dei suoli dell’età del Bronzo.
Ce ne puoi parlare? In che modo il fosforo può essere usato per datare un suolo?
È noto che le attività umane causano cambiamenti nel contenuto chimico dei suoli, quindi questi suoli antropizzati sono diversi dai suoli sterili (ovvero suoli dove non ci sono state o non ci sono coltivazioni).
Tra i vari elementi chimici coinvolti nelle attività umane e depositati nel suolo, il fosforo ha la caratteristica di rimanere sostanzialmente “fissato” al luogo dove è stato depositato.
Per questo motivo l’analisi del contenuto in fosforo dei suoli è uno strumento significativo sia per l’individuazione di resti archeologici sepolti sia per l’interpretazione delle “strategie” umane nell’uso del terreno in epoche antiche.
Soprattutto se si vuole approfondire il secondo obiettivo – cioè capire come venivano prese le decisioni relative agli insediamenti umani e quindi dove stanziarsi-, l’analisi deve essere inserita in un progetto di più lungo e ampio respiro.
La quantità di fosforo totale contenuta nel suolo infatti è relativamente stabile all’interno di un sistema “naturale”, mentre l’attività umana rende il fosforo mobile, come parte di un sistema economico. Gli effetti dell’attività umana provocano, come risultato finale, un notevole incremento nella quantità di fosforo contenuto nel suolo.
Tuttavia l’attività umana può causare anche perdite nelle quote di fosforo contenuto del suolo, sia direttamente tramite l’erosione agricola e industriale, sia indirettamente a causa delle pratiche agricole e dell’allevamento.
Sia nello studio dei resti di una strada armentaria dell’età del Bronzo nelle Valli Grandi Veronesi, sia dei resti di un insediamento rustico di età romana a Ca’ Tron in provincia di Venezia, è stato importante ricordare che l’utilizzo del terreno a fini pastorali provoca come risultato finale lo spostamento del fosforo all’interno del sistema “suolo”: questo si impoverisce infatti nelle aree di pascolo, mentre il contenuto in fosforo aumenta in corrispondenza dei luoghi di sosta, dei recinti e nelle stalle, o nei ricoveri usati per la notte.
Se gli animali vengono trasferiti regolarmente in aree diverse per il riposo notturno e il pascolo diurno, il risultato consiste in un impoverimento del fosforo nel suolo dei recinti di pascolo diurno e in un arricchimento del contenuto in fosforo soprattutto nei luoghi usati per la notte ma anche lungo i percorsi e nei recinti destinati alla mungitura dove non vi è pascolo.
Il fosforo depositato nel terreno in un sistema pastorale è organico.
La sua tendenza nel tempo però è quella di mineralizzarsi trasformandosi in inorganico; tuttavia, bisogna ricordare che la percentuale di fosforo organico su fosforo totale tendenzialmente è maggiore in un sistema pastorale che in un sistema agricolo, dove il fosforo organico del terreno viene utilizzato dalle piante durante la loro fase di crescita e quindi asportato definitivamente dal terreno nel momento in cui ci procede con il raccolto.
Sia la distribuzione spaziale del fosforo contenuto nel suolo, sia il rapporto percentuale tra fosforo organico e inorganico sono quindi elementi significativi per un’interpretazione dei resti archeologici.
Sempre a proposito di questo, hai per caso avuto occasione di fare delle valutazioni o visionare anche in modo alternativo gli studi su Areni e i dati relativi alle piuttosto recenti scoperte fatte in Sicilia?
No, purtroppo questo non è un argomento di cui ci siamo potuti occupare, anche se molto interessante.
Qual è il ruolo della sostanza organica nell’allevamento delle viti?
La concimazione organica e minerale riveste particolare interesse perché incide in modo determinante sugli aspetti quali-quantitativi della produzione.
La possibile influenza delle tecniche colturali sulla qualità ha sempre assillato i viticoltori, anche in tempi lontani; basti pensare che antichi editti iberici, francesi o austriaci vietavano la concimazione organica e minerale nelle zone viticole a più elevata vocazione perché aumentavano la resa dei vigneti a scapito della qualità.
Va anche tenuto presente che, fino a poco tempo fa, la concimazione veniva considerata come una “forzatura” e quindi valutata negativamente.
Invece, io penso che la concimazione organica e minerale vada vista come una pratica equilibrata e debba essere inserita in un contesto più generale di ecologia viticola.
Per molto tempo la concimazione della vite si è limitata alla distribuzione di letame che costituiva una base nutrizionale sufficiente per sostenere produzioni sicuramente più ridotte.
L’uso del letame in vigna ha però causato un eccesso di azoto nel terreno che da una parte ha stimolato la vigoria della pianta, ma dall’altra ha evidenziato un decadimento qualitativo del mosto per una eccessiva presenza di acidi (malico in particolare) e di composti azotati e per una ridotta produzione di zuccheri, antociani e tannini.
È noto, inoltre, che la sostanza organica del suolo è in grado di modificare la nutrizione minerale della vite rendendo più mobili il potassio ed il fosforo, ma anche di migliorare la struttura del terreno. La conseguenza di questo è un giusto rapporto fra vani vuoti e pieni che assicurano condizioni ossidative al terreno e – nel contempo – permettono al suolo di eliminare la pioggia in eccesso e di diminuire il ruscellamento superficiale dell’acqua.
La sostanza organica ha anche un ruolo fondamentale nel preservare la struttura e nel rendere meno pesanti le perdite di terreno per erosione in collina. La sostanza organica – infatti – influenza la regolazione della reazione del terreno, rendendo disponibili gli elementi nutritivi tramite la mineralizzazione. Il rilascio di elementi chimici condiziona a sua volta la nutrizione delle piante. Infatti, nei terreni ricchi di calcio si hanno produzioni di altissimo livello qualitativo come nel Chianti, nelle zone del Barolo e Barbaresco e del Brunello di Montalcino.
La sostanza organica naturale influenza le qualità organolettiche di un vino?
La nutrizione organica e minerale influenza in modo determinante la qualità delle produzioni vitivinicole. Macro e microelementi sono infatti in grado di modificare il contenuto di carboidrati, proteine, aminoacidi, aromi e vitamine del mosto, come anche quelli degli acidi organici: l’azoto stimola la sintesi dell’acido malico, il potassio quella dell’acido tartarico, il calcio quella dell’acido ossalico. Ne consegue che una concimazione effettuata per assicurare i reali fabbisogni garantisce anche sensibili miglioramenti qualitativi.
Ora puoi spiegarci che differenza funzionale c’è tra biostimolanti e fertilizzanti?
I biostimolanti agiscono in modo diverso rispetto ai fertilizzanti in quanto non basano la loro azione sull’apporto di elementi nutritivi: sono infatti stati definiti attivatori del metabolismo. Le ricerche documentano come i biostimolanti, per esplicare la loro azione, debbano essere distribuiti a basse concentrazioni rispetto ai normali nutrienti. Da un punto di vista nutrizionale promuovono la crescita delle piante, modificando l’architettura radicale e predisponendo così le piante ad un maggior assorbimento dei nutrienti.
Inoltre, favoriscono le piante nel superamento di stress ambientali dovuti all’uso di diserbanti, alle infestazioni da nematodi, alla salinità del suolo e alle radiazioni UV. Dalle ricerche condotte negli ultimi anni risulta che l’utilizzo dei biostimolanti in campo agricolo porta ad un aumento della biomassa della coltura e della resa attraverso meccanismi anche molto diversi.
Quali sono le categorie principali di biostimolanti ?
Fra i diversi prodotti ad attività biostimolante ti posso citare le sostanze umiche, gli idrolizzati proteici e gli estratti di alghe.
Le sostanze umiche derivano dalla degradazione chimica e biologica dei residui vegetali e animali e dall’attività di re-sintesi dei microrganismi. Influenzano il metabolismo delle piante incrementando la loro crescita e le rese agrarie.
Gli idrolizzati proteici sono costituiti prevalentemente da peptidi a catena più o meno lunga e da amminoacidi liberi di tipo levogiro.
Diversi studi hanno dimostrato che gli idrolizzati influenzano l’attività degli enzimi coinvolti nei metabolismi di carbonio e azoto.
La terza categoria è rappresentata dagli estratti di alghe. Tali prodotti sono in grado di aumentare il numero di semi germinati, la biomassa delle piante tramite la stimolazione di diverse vie metaboliche, tra cui il metabolismo secondario di difesa della piante.
Quali sono le tecniche per la determinazione dell’attività biologica dei biostimolanti?
Per verificare e quantificare l’attività biostimolante uno strumento è rappresentato dai biosaggi. Un biosaggio è un metodo di laboratorio che utilizzando porzioni di pianta, o piante intere, consente di valutare la qualità e l’intensità degli effetti indotti da una sostanza, allo scopo di consentirne l’inclusione in una classe di composti capaci di stimolare risposte simili.
Questi test, che si basano su risposte fisiologiche semplici, permettono di confrontare i comportamenti indotti da sostanze di origine e caratteristiche chimiche diverse con sostanze di comprovata attività biostimolante. Tra i diversi biosaggi il test di inibizione della crescita delle radici di crescione e il test della crescita dell’epicotile di cicoria, sono tra quelli più affidabili anche in termini di ripetibilità e riproducibilità.
Oggi va molto di moda l’agricoltura biologica. Cosa ne pensi?
I cambiamenti sociali e quelli economici intervenuti negli ultimi decenni hanno scosso dalle fondamenta il mondo agricolo, proponendo obiettivi e vincoli spesso ignorati. Oggi la produttività agricola non è più l’unico obiettivo da raggiungere. Il problema ambientale e la qualità dei prodotti stanno condizionando fortemente le scelte dell’agricoltore. L’evoluzione dei parametri di fertilità dei suoli è stata caratterizzata da forte inerzia che ha permesso lo sfruttamento delle risorse nel breve periodo, ma ha reso problematico il recupero di situazioni in cui lo sfruttamento si è prolungato, innescando processi degradativi del suolo stesso.
Negli anni 70 del secolo scorso l’agricoltura biologica era nata con lo scopo di rispettare l’ambiente e di preservare la fertilità dei terreni. Con il passare degli anni questi obbiettivi sono stati parzialmente dimenticati e si è rivolta più attenzione alla produzione. Penso che il rispetto per l’ambiente e per le condizioni pedoclimatiche siano le basi fondamentali per l’attuazione di qualsiasi programma e/o tecnica.
Queste tecniche hanno un qualche impatto sul profilo sensoriale dei vini?
Negli ultimi anni sono stati condotti diversi studi rivolti alla comprensione delle risposte fisiologiche e vegeto-produttive della vite trattata con biostimolanti. Sono stati utilizzati due approcci diversi, il primo per comprendere l’azione del biostimolante sulla crescita vegetativa della pianta e sulla resistenza indotta dal biostimolante a stress di tipo abiotico. Gli studi hanno dimostrato l’efficacia degli estratti di alga nell’incrementare la crescita di piante di Sangiovese e quella degli idrolizzati proteici di ridurre, in piante del vitigno Corvina, la suscettibilità alle condizioni di stress idrico rispetto al controllo.
Un secondo approccio ha riguardato l’analisi degli effetti dei biostimolanti sulla composizione dell’uva e del vino. Secondo alcuni autori, la micorizzazione radicale delle piante di Pinot nero ha determinato una elevata attivazione dei geni coinvolti nella sintesi degli stilbeni e in particolare del resveratrolo.
Altri autori hanno riportato che il trattamento con idrolizzati proteici ha determinato un aumento del contenuto di polifenoli e di antociani in piante di Sangiovese, Pinot Noir, Cabernet Franc.
È arrivato il momento della domanda provocatoria n. 1.
Ipotizziamo che ti fosse messo a disposizione un fondo illimitato da poter gestire per la viticoltura. Non hai vincoli, non hai controlli, nessuna necessità di rendicontazione e nemmeno limitazioni di spazio. Puoi decidere tu il territorio. Un sogno, insomma. Cosa faresti?
Mi piacerebbe attuare un progetto che ha insieme una visione rivolta al passato e contemporaneamente proiettata verso il futuro. Farei un vigneto recuperando le varietà autoctone, poiché c’è il rischio di perdere definitivamente molto materiale genetico. Siamo ancora in tempo per salvare vecchie varietà sparse lungo i filari o confinate in piccoli vigneti condotti a scopo amatoriale, ma che non rivestono alcun interesse per l’agricoltura moderna.
Allo stesso tempo mi piacerebbe provare le nuove varietà ottenute con le moderne tecniche di miglioramento genetico, resistenti e/o tolleranti ai principali parassiti, delle quali però è necessario approfondire il valore enologico.
La strada del miglioramento genetico è l’unica via che può permettere, in futuro, una viticoltura sostenibile dal punto di vista ambientale.
Bellissimo progetto! approvo incondizionatamente.
Domanda provocatoria n. 2. Oggi la moda è la produzione di vini biodinamici. Cosa pensi di questa pratica?
L’agricoltura biodinamica prevede tecniche di produzione e utilizzo di preparati al di fuori dei protocolli sperimentali utilizzati nei laboratori di ricerca.
Per questo motivo non sono in grado di esprimere un parere di alcun genere.
Ultimissima. Qual è il vino che preferisci?
Preferisco i vini bianchi fermi, mediamente alcoolici da abbinare a risotti di funghi, carni bianche e pesce.
Grazie Serenella, intervista davvero densa. Cin e grazie!