Site icon VinOsa

Il vino nella scienza e la scienza del vino. Quattro chiacchiere con l’enologa: Ginevra Bucalossi

Abbiamo pensato di allargare, di quando in quando, le nostre chiacchierate anche a giovani ricercatori che hanno appena intrapreso la loro carriera.
Dopo aver pubblicato svariate chiacchierate con professori ordinari, ricercatori e scienziati famosi, ci siamo chiesti come andasse il sottobosco della ricerca.


Va bene, va male, sta prendendo strane derive, è molto promettente?
Ce lo facciamo dire dai diretti interessati.

Queste sono state le nostre domande. Da qui abbiamo pensato di dare spazio anche ai giovani, sentire cosa hanno da dire, come si muovono nell’ambito delle loro ricerche, quali sono i loro progetti. Ma anche per capire come sta funzionando il mondo della ricerca a partire dal basso; gli inizi.
Il tutto come controcanto alle interviste di ormai affermati professori universitari, spesso conosciuti ed apprezzati a livello mondiale che ormai da qualche tempo pubblichiamo su VinOsa.

Ecco qui, quindi, la nostra prima giovane ricercatrice, la dottoressa Ginevra Bucalossi, una balda enologa che si sta specializzando in un settore molto promettente in ambito agroalimentare.

Ciao Ginevra, noi già ci diamo del tu, vero?

Assolutamente sì!

Domanda d’obbligo: ci parli un poco del tuo percorso accademico e di come nasce la tua passione per l’enologia? 

Forse può essere strano da sentir dire ma è stata una scelta casuale!
Sono un perito chimico, per cui quando è arrivato il momento di scegliere facoltà e corso di laurea, non ho avuto alcun dubbio e mi sono iscritta a Chimiche e Tecnologie Farmaceutiche.
Nonostante la carriera universitaria proseguisse senza problemi, ad un certo punto mi sono resa conto di trovarmi nel posto sbagliato. Così mi sono guardata intorno e ho scoperto, con grande stupore, il corso di laurea in Viticoltura ed Enologia a cui mi sono iscritta senza pensarci due volte! Ecco, è stata la scelta più azzeccata della mia vita! Da lì, ho iniziato ad appassionarmi al settore e a voler imparare sempre di più.
Ho così conseguito la laurea magistrale in Viticoltura, Enologia e Mercati Vitivinicoli (VEM) presso l’Università di Udine e nel contempo il diploma di Sommelier AIS.
Dopo la laurea Magistrale ho interrotto il mio percorso universitario per poter capire cosa volessi fare da grande! Ho avuto la fortuna di lavorare per l’enologa Graziana Grassini nel suo centro di analisi per poi fare una breve esperienza in campo presso un’azienda del Chianti Classico, Tenuta Ormanni.
Dopo di che, sono tornata alle origini con il conseguimento del Dottorato di Ricerca in Scienze e Tecnologie Alimentari presso l’Università degli Studi di Firenze guidata dal prof. Bruno Zanoni e dalla dott.ssa. Giovanna Fia.  

Hai voglia di dirci due parole sulla tua esperienza – per noi incredibile – con Graziana Grassini?

Graziana Grassini

Quella con Graziana è stata la mia prima vera esperienza lavorativa. Il suo laboratorio è molto all’avanguardia così come il personale qualificato. Dal punto di vista analitico, quindi tecniche/metodiche di analisi se non strumentazione, ho imparato tutto quello che posso dire di saper fare oggi. Graziana Grassini ad oggi è uno dei nomi più rilevanti del quadro enologico italiano; aver avuto la possibilità di lavorare al suo fianco mi ha arricchita moltissimo dal punto di vista enologico, custodisco gelosamente i suoi insegnamenti e consigli. Da un punto di vista personale, questa esperienza, mi ha sicuramente aiutata a capire cosa voglio fare da grande e come raggiungere questo risultato!

Advice

Riveliamo in anteprima ai lettori di VinOsa che stiamo ultimando l’intervista con Graziana Grassini che apparirà prossimamente in un articolo di VinOsa.

Sei assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Firenze dove lavori nell’ambito di un progetto dal titolo “Analisi e valorizzazione di residui di lavorazione di origine vitivinicola”.
Ce ne parli?
Qual è l’importanza delle biomasse di scarto che provengono dalla produzione vitivinicola? 

Con piacere! La filiera vitivinicola genera una elevata quantità di residui di lavorazione. Basandoci su una resa media di uva in vino dell’80%, solo in Italia, Spagna e Francia si stima vengano prodotti annualmente una media di 4 milioni di tonnellate di residui di lavorazione, circa il 30% della produzione a livello mondiale. I principali residui della filiera vitivinicola sono rappresentati dai residui di potatura (sarmenti, raspi e foglie), dai residui organici della vinificazione (vinacce, vinaccioli, polpa e bucce), dalle acque reflue e dai residui inorganici dei diversi trattamenti che il vino subisce nel corso della elaborazione.
L’impatto ambientale negativo che i residui hanno, la crescente domanda per una produzione sempre più rispettosa dell’ambiente e la sfida di riuscire ad ottenere efficienza operativa riducendo al minimo i costi di produzione e di trattamento dei residui, hanno spostato il settore vitivinicolo verso l’adozione di una filiera sempre più sostenibile. 
Il focus della mia ricerca si è basato proprio su questo.

Il logo del progetto



L’assegno di ricerca si inserisce infatti nel progetto “UVA PRETIOSA” che si pone l’obiettivo di ottimizzare lo sfruttamento delle materie prime prodotte in vigna secondo uno schema circolare che consente di valorizzare le componenti nobili dei sottoprodotti e di rimettere in gioco gli scarti finali per produrre energia, restituendoli, infine, alla vite sotto forma di nutrimento. 

Oggi va molto di moda il concetto di “nutraceutica” intesa come quella branca della scienza che si occupa dell’effetto (positivo) che alcune molecole presenti negli alimenti hanno sulla salute umana.
In ambito enologico, considerando l’effetto nocivo dell’alcol etilico come indicato anche nelle linee guida dello IARC (l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro), quanto c’è di vero che un bicchiere di vino fa bene alla salute?

Sicuramente una quantità eccessiva di vino, così come una qualsiasi altra bevanda alcolica, può indurre un effetto nocivo dato dall’elevata concentrazione di alcol assunta. A mio avviso, non ci sono controindicazioni nell’assunzione di un bicchiere di vino al giorno.
Occorre ricordare che il vino è una soluzione idroalcolica caratterizzata dalla presenza di macromolecole come acidi grassi, vitamine, sostanze minerali, antociani, flavanoli, flavonoli, tannini, acidi fenolici e stilbeni.


Numerosi studi hanno evidenziato che questi metaboliti secondari posseggono delle proprietà fisiologiche tali da esprimere attività infiammatorie, antimicrobiche, antiossidanti e cardioprotettive che influenzano in modo positivo la salute umana e riducono il rischio di numerose malattie croniche. 

Nei tuoi lavori ti concentri in modo particolare sull’estrazione di molecole biologicamente attive dai residui della lavorazione vitivinicola. Ci puoi parlare di quali molecole sei riuscita ad estrarre e di quale possibile uso esse possano avere in ambito farmacologico? Si potrebbero usare per migliorare la qualità degli alimenti?  

Mi sono concentrata maggiormente sull’estrazione di componenti biologicamente attive a partire da un residuo solido poco conosciuto e scarsamente valorizzato: le uve da diradamento.
Il diradamento è una pratica che fa parte della potatura verde e consiste nell’asportazione selettiva dei grappoli con lo scopo di garantire un equilibrio vegeto-produttivo della pianta; viene effettuato nel periodo antecedente all’invaiatura su grappoli ancora verdi o al momento stesso dell’invaiatura.
Le uve diradate sono quindi delle uve immature, non adatte al processo di vinificazione – però con un patrimonio fenolico importante – che generalmente vengono abbandonate in campo. 

Le uve da diradamento analizzate sono risultate ricche in composti fenolici, in particolar modo in acidi fenolici, flavan-3-oli, procianidine e quercetina nelle forme glicosilate.
Numerosi articoli definiscono i composti fenolici come composti biologicamente attivi. Quando parliamo di composti biologicamente attivi occorre far riferimento a quella che viene definita attività antiossidante, ovvero, la capacità che tali sostanze hanno di contrastare i fenomeni ossidativi.
Partendo da questo, è stata analizzata anche la capacità antiossidante delle uve, ottenendo delle correlazioni positive tra l’attività antiossidante e le specifiche molecole fenoliche, tra cui quelle presenti in concentrazione maggiore nelle uve immature. Nelle uve diradate sono state trovate anche molecole a carattere antiossidante come il glutatione e vitamine idrosolubili come la niacina (vit.B3), l’acido pantotenico (vit.B5), priridossina (vit.B6) e la colina (vit.J). 

Dalle uve diradate è stato produtto industrialmente un estratto ad attività antiossidante che è stato utilizzato come fortificante naturale in diverse matrici alimentari, portando ad un incremento del contenuto fenolico totale e dell’attività antiossidante della matrice vegetale stessa. I risultati più incoraggianti sono stati ottenuti nella purea di barbabietola, in cui il gusto dolce della matrice vegetale contrastava l’impatto acido dell’estratto di uva immatura. Per quanto riguarda il settore farmacologico, non essendo il nostro campo di ricerca, non abbiamo utilizzato gli estratti in tal senso, ma in letteratura sono presenti numerosi lavori sul recupero e utilizzo dei compositi biologicamente attivi dei residui della filiera viti-enologica, così come accadde anche per il settore della cosmesi. 

L’estrazione di molecole biologicamente interessanti dai residui della lavorazione vitivinicola comporta l’ottenimento di biomasse esauste che dovrebbero finire nei rifiuti speciali. Secondo te, è possibile riutilizzare queste biomasse esauste in modo da limitare il più possibile la produzione di materiali di risulta da stoccare in discariche speciali che portano a perdita di suolo, una risorsa non rinnovabile? 

Assolutamente sì, anzi lo scopo del progetto “UVA PRETIOSA” è quello di non produrre nessun tipo di scarto, bensì di riutilizzare e valorizzare tutti i residui derivanti dalla filiera viti-enologica. 
Ad esempio la feccia liquida è stata trasformata in parte in vino da reintegrare nel processo produttivo ed il restante per la produzione di biogas utilizzato, a sua volta, per produrre energia elettrica. La vinaccia, una volta separata in buccia e vinaccioli, è stata utilizzata per la produzione dell’olio di vinaccioli. L’uva immatura, come già detto, è stata la materia prima per la produzione di un estratto liquido ad attività antiossidante utilizzabile nel settore alimentare e della cosmesi.
Per i restanti residui, come raspi, bucce e sarmenti, la legislazione permette l’utilizzo agronomico diretto o indiretto, ad esempio per la preparazioni di fertilizzanti. 

Nell’ottica di una economia circolare, in che modo pensi che una azienda enologica possa fare uso delle biomasse residuali della lavorazione vitivinicola per ottimizzare i processi di produzione?

Voglio risponderti con una citazione di Henry David Thoreau: “Nella vita gli sprechi nascono dalla fretta. Il mondo contadino e agricolo, in qualche modo legato ai ritmi della natura, non è dedito alla fretta, tantomeno agli sprechi”.

Credo che l’attuazione di una economia circolare debba essere alla base di ogni filosofia aziendale. Ad oggi, la legislazione mette a disposizione varie possibilità per gli utilizzi alternativi dei sottoprodotti della filiera. Non nego che in una azienda di medie o grandi dimensioni, dove i numeri e le risorse sono maggiori, risulta più semplice sia dal punto di vista economico che quantitativo, attuare pratiche di valorizzazione e riutilizzo dei residui di lavorazione, ma questo non preclude la possibilità di sposare un’ economia circolare in un’azienda di piccole dimensioni. In ogni caso il produttore opterebbe per un utilizzo alternativo dei sottoprodotti che consentirebbe un recupero di essi ad elevato valore aggiunto ed un loro riutilizzo in molteplici settori con la capacità di portare benefici sia all’ambiente che alla salute del consumatore finale. 

Domanda provocatoria numero 1. Ipotizziamo che ti fosse messo a disposizione un fondo illimitato da poter gestire per la viticoltura. Non hai vincoli, non hai controlli, nessuna necessità di rendicontazione e nemmeno limitazioni di spazio. Puoi decidere tu il territorio. Un sogno, insomma. Cosa faresti?

Wow! Di idee ce ne sarebbero tantissime e delle più varie! Credo che cercherei di creare un’azienda il più possibile ecosostenibile. Andrei nella mia adorata Maremma, vicino al mare. Pianterei Ciliegiolo e Ansonica e solo con esse produrrei 4 tipologie di vino: bianco, rosato, rosso e passito. L’idea è quello di utilizzare materiale come anfore di terracotta e legno per la vinficazione e l’affinamento.  Lavorerei le vigne secondo i principi del biointegrale evitando interventi con prodotti chimici. Dato che sono un’amante della natura e degli animali, farei un frutteto, un orto, metterei delle arnie per la produzione propria di miele e oche ed alpaca per “mangiucchiare” l’erba nel vigneto e nel terreno restante. Una piccola oasi naturale lontano dal caos della città!
In realtà è un sogno che sta prendendo forma…

Domanda provocatoria numero 2. Oggi la moda è la produzione di vini biodinamici. Cosa pensi di questa pratica?

Mi ricollego alla risposta precedente! Nonostante sia sempre stata affascinata dalla chimica e lavori nel settore della ricerca, mi ritengo a favore della viticoltura biodinamica. Credo che ci sia estrema necessità di tornare alle origini della viticoltura, al rispetto dell’ambiente, a quelle pratiche agronomiche che da tempo sono state abbandonate e da poco ricercate. Credo che il lavoro e le competenze di agronomi, viticoltori, cantinieri ed enologi debbano focalizzarsi sul rispetto di quel territorio e di quelle cultivar esaltandone le caratteristiche mediante mezzi sostenibili.
Sono consapevole che i principi della biodinamica non abbiano alcun fondamento scientifico ma non per questo significa che siano sbagliati. Ci sono pratiche un po’ esoteriche come il cornosilice o il cornoletame, ma io preferisco queste all’utilizzo di pesticidi e/o diserbanti che deteriorano la biodiversità dell’ecosistema. 

Ultima: vini francesi o italiani?

Devo rispondere davvero?

Beh, che ne dici? 😉

Beh Francia e Italia sono le maggiori produttrici di vino a livello mondiale. La loro capacità di produrre vini di qualità è indiscussa. Ci sono zone vitivinicole della Francia che adoro, mi vengono in mente i Riesling alsaziani, i Pinot Noir della piccola zona della Lorena o quelli della Borgogna, per non parlare degli Chablis della Côte D’Or; e gli Champagne?…

… potrei non finire mai! Per quanto riguarda l’Italia, da Nord a Sud, ci sono denominazioni conosciute ed apprezzate in tutto il mondo. Per non parlare della fama dei SuperTuscan. Insomma i vini italiani non hanno niente da invidiare a quelli degli amici francesi. Per rispondere alla domanda, io tifo Italia! Il mio vitigno del cuore è il Ciliegiolo, per cui, non solo tifo Italia, ma tifo Maremma! 

W la Maremma, allora!


Warning

In merito al tema della biodinamica, al suo impatto sull’ambiente, alla sua efficacia oltre che, soprattutto, alla sua efficienza, l’autrice del blog suggerisce di approfondire con la lettura di uno STUDIO scientifico comparativo molto aggiornato oltre che puntuale pubblicato sull’American Journal of Enology and Viticulture nel 2019.
Ringrazio il Professor Stefano Poni, nostro grande amico oltre che nostro già intervistato a questo LINK, per la segnalazione.

Exit mobile version