Vi è mai venuto da ridere ad ascoltare la descrizione di un sommelier che degusta un vino con toni ampollosi e linguaggio aulico?
A me sì.
E ogni volta mi viene in mente Albanese nella famigerata scenetta sul vino rosso con la parodia irresistibile di tutta la gestualità dei sommelier (quelli veri, però!).
Però non era quello che volevo dire.
Tra le varie cose che fanno i degustatori è descrivere il vino cercando appigli al linguaggio di altre aree semantiche per poter trasmettere una conoscenza così astratta, come è quella del vino che si assaggia, agli altri senza che questi possano esperire le medesime sensazioni.
Sia per gli odori, per i colori, che poi per il gusto è un profluvio di terminologia naturale, poetica, coloristica, vegetale.
Ed eccoci. Una delle sfumature che spesso viene rilevata riguarda la grafite.
La parola grafite deriva dal greco γράϕω [grafo] che significa «scrivere».
A dispetto della sua regolarissima forma interna, la grafite sovente si presenta come un grumo o a sbaffi neri neri, ed è la dispersione di micro particelle di grafite che dona il colore scuro all’ardesia e agli scisti.
A volte, tuttavia, la si trova anche con le sfaccettature tipiche dei cristalli ed è in questa forma che è presente nelle rocce dei suoli della regione del Priorat, a nord est della Spagna, dove spesso viene definita come sbrilluccicante ai raggi del sole.
Anche i suoli della Stiria, in Austria, presentano una non comune alta concentrazione di grafite.
A ben guardare, in effetti, questo minerale è pure estratto dalle miniere che ci sono proprio in quella zona.
Ma la Stiria è conosciuta anche per i suoi vini e, guarda che caso, nelle degustazioni uno dei descrittori usati comunemente nelle cosiddette tasting notes è proprio la grafite, soprattutto se riferita a vini rossi.
Ovviamente è una metafora: la grafite non ha odore e non ha sapore e non ha in nessun caso la capacità di trasferire un odore al vino.
A questo proposito, nel 2016, una serie di articoli sulla famosa rivista Decanter ha affrontato il tema cercando di decodificare i termini usati durante le degustazioni.
Arrivati alla grafite e ai sigari – in particolare le scatole dei sigari – la loro spiegazione è stata la seguente:
notes of pencil lead or a lead-like minerality
Ma la mina delle matite è fatta mescolando la grafite alla kaolinite o alla bentonite e nessuna di loro ha il benchè minimo odore o aroma o gusto.
Come venne risolta allora la questione?
Il loro suggerimento fu quello di temperare una matita di quelle classiche, tipo HB!
Ed ecco svelato l’arcano: l’odore pungente e penetrante che si sprigiona facendo la punta ad una matita è dovuto a composti fortemente aromatici conosciuti come sesquiterpeni.
Don’t panic! non inizia una lezione di chimica.
Ma è importante citare i sesquiterpeni perché si trovano in maniera massiccia nel legno di cedro, il materiale tradizionalmente usato per le matite e – toh, che caso – anche per le scatole dei sigari!
Questi composti sono molto ben conosciuti nel mondo del vino ed è così che si pensa – ma sbagliando! – che quell’odore richiami la grafite contenuta nella punta delle matite.
Per chi fosse interessato ad approfondire, lascio i link ad un paio dei libri che si trovano qui nella sezione Libreria:
a. Vineyards, Rocks, and Soils: The Wine Lover’s Guide to Geology
b. Terroir
Io ho sentito dire “sentore di pietra focaia”. Credo che sia il massimo risultato nel tentativo di stupire senza dire nulla di comprensibile
Sì, è un descrittore che spesso viene usato, per esempio per gli Chardonnay francesi. La pietra ricorre anche nei Riesling – pietra bagnata – e nei Sauvignon blanc. La ritroviamo anche – ma più vicina al concetto di mineralità – in quasi tutti i bianchi friulani del Collio. Questo solo per farle qualche esempio. Era per dire, però, non che elementi del suolo passano nel vitigno e di conseguenza nel grappolo in modo diretto ma che quello che si sente nel bicchiere ricorda quello o quell’altro elemento o sentore o odore. La faccenda dei descrittori è davvero problematica quando si… Leggi il resto »
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