Dalla scienza alla bottiglia, dai laboratori alle sale di degustazione.
Fino ad ora il nostro salotto enologico si è incontrato con scienziati e ricercatori del mondo delle vigne e del vino. Un po’ per volta, stiamo cercando di incontrare persone che ci possano dare spunti ed informazioni un po’ su tutti i settori che convergono sul tema del vino.
Da un po’ di tempo, però, era evidente una carenza macroscopica che ora abbiamo risolto egregiamente.
Abbiamo l’onore di ospitare Roberto Anesi, miglior Sommelier AIS 2017 e patron del ristorante El Pael di Canazei.
Sommelier, ristoratore, blogger, grande esperto di vino, Roberto è nato nel 1972 e ha conseguito le più alte onorificenze del mondo della Sommellerie italiana: da miglior sommelier AIS a WSET, e molti altri titoli, fino ad essere riconosciuto come professionista dell’anno nel 2019.
Ciao Roberto, noi ci diamo già del tu quindi la prima domanda canonica la saltiamo vero?
Certo, pronti per una bella chiacchierata libera!
Primo amore in bottiglia? Quanti anni avevi?
Ero sicuramente giovanissimo, non so neanche se riesco a datare il primo momento nel quale incominciai ad interessarmi del vino. Sicuramente è successo in gioventù mentre lavoravo in sala e se tu consideri che lavoro dal età di 15 anni fai presto a fare i conti
E la tua prima cantina visitata?
Non posso ricordarmi la prima cantina che ho visitato, sicuramente ricordo invece una visita nella cantina di Alois Lageder di circa 25 anni fa dove per la prima volta toccai con mano quanto impegno richiedesse perseguire la strada della qualità, ricordo molte cose di quel giorno.
Raccontaci come è nata la tua passione per il vino
Direi che è cresciuta di pari passo con la mia voglia di essere sempre all’altezza delle situazioni che si sono a mano a mano presentate. Mi sono posto davanti un obiettivo alla volta e piano piano sono riuscito a raggiungere quasi tutti quelli che mi ero proposto.
Tu che hai un meraviglioso locale dove, tra l’altro, si mangia benissimo e si beve anche meglio e quindi hai una maggior sensibilità sull’andamento del mercato enologico italiano, come ti sembra che stia andando questo 2020?
Beh, logicamente è un’annata molto difficile anche se l’inizio era stato davvero promettente, difatti noi in gennaio e febbraio abbiamo lavorato tantissimo. Successivamente con la questione Covid un po’ tutto il nostro settore ha subito un rallentamento che credo lascerà delle serie ripercussioni anche il prossimo anno. Bisogna però essere fiduciosi e pensare che l’Italia sia davvero la patria mondiale delle buona cucina e dell’ospitalità, pertanto penso che la clientela internazionale non resterà lontana dal Bel Paese per molto.
Riscoprire la vera e genuina accoglienza italiana sarà la chiave del futuro.
E in Francia e anche il resto dei paesi produttori di vino?
Ho letto che a livello internazionale le grandi denominazioni hanno ridotto le rese per non andare a svalutare il prodotto sul mercato.
Credo che sia un buona contromossa per affrontare la prima ondata di difficoltà che arriveranno ma immagino che qualche altra azione andrà fatta ancora sui mercati.
Quale non spetta a me dirlo o pensarlo, però.
Sì, ho letto anche io i report sulle produzioni.
Purtroppo, i miei 2 cents sono che la posizione del Veneto di non ridurre – in generale – la produzione, colpisce abbastanza negativamente rispetto alle decisioni prese da altri, anche all’estero.
Invece, dal punto di vista del gusto, cosa sta cambiando a tuo parere?
Sarò forse un po’ fuori dagli schemi ma credo che la ristorazione stia tornando un po’ sui sui passi dopo questi 10 anni che hanno visto la cucina esplodere dal punto di vista mediatico. Troppi chef, pochi cuochi, come ha recentemente sostenuto un grande della ristorazione mondiale come Arrigo Cipriani. Dobbiamo tornare a far respirare all’Ospite quell’aria di buona cucina, di piatti della tradizione preparati con le tecniche di oggi, con la scelta di prodotti di qualità ma soprattutto raccontati con il cuore.
Credo che questa trasformazione sia già in atto ma che richieda del tempo.
Recentemente abbiamo pubblicato un intervento di uno dei più importati e conosciuti scienziati che si occupano di suolo delle vigne, il professor Robert White. Tra le tante cose ci ha spiegato piuttosto dettagliatamente la sua versione di cosa si possa intendere per terroir.
Da sommelier, che opinione hai tu del concetto di terroir?
Sono tutte quelle condizioni che permettono ad un vino di determinarne un carattere ed un’unicità legate alla zona di produzione.
Il rapporto tra il vitigno, il clima ed il microclima, il terreno e mettiamoci anche la mano dell’uomo che lo produce.
Quale vignaiolo ammiri di più? Puoi scegliere qualsiasi zona del mondo…
Beh, di produttori ne ho conosciuti parecchi e forse fare un nome solo è riduttivo. Diciamo che mi colpisce sempre molto chi riesce a non farsi influenzare dalle mode ma continua a portare avanti un’idea, uno stile, una filosofia.
Ed a questo punto il campo si restringe…
Sicuramente avrai ascoltato il discorso di ringraziamento di Angelo Gaja per l’attribuzione del titolo di Master Winemaker’s Winemaker l’anno scorso. Le indicazioni di Gaja sono piuttosto precise oltre che decisamente illuminanti (anche il solo fatto di non voler un sito internet ha un suo ragionamento dietro), cosa ne pensi?
Penso semplicemente che Angelo Gaja sia uno dei più grandi cinque personaggi del mondo del vino in vita. La sua personalità, la sua lungimiranza, la sua capacità di fare rete attorno al territorio andrebbero prese in ogni angolo del mondo dove si produce vino e rese “best practices” per chiunque.
Vederlo riconosciuto e premiato dal MW Institute è stato per me, da italiano, un grande orgoglio.
Credo che in otto minuti Angelo Gaja abbia condensato un’enormità di contenuti ed una visione che ha ben delineato la cultura del fare vino in Italia.
Cosa ne pensi del fatto che l’Italia è ormai rimasto l’unico paese – si è fatto superare perfino dalla Croazia – a non avere un suo Master of Wine (non consideriamo Pierpaolo Pietrassi ovviamente che si presenta come UK)?
Beh, essendo stato per due anni nel programma del MW institute, so quali siano le difficoltà reali per noi italiani legate alla lingua inglese ed un po’ anche alla nostra autoreferenzialità che ci fa aprire poco gli occhi verso il resto del mondo del vino.
Mi auguro però che presto questo “zero” venga cancellato dalla casella Italia.
Come mai noi che siamo la patria del vino non abbiamo una Jancis Robinson o uno Hugh Johnson italiani?
Forse proprio perchè siamo la patria del vino e come tale lo trattiamo in maniera più quotidiana rispetto a quanto accada da altre parti.
Qual è il vino che ti ha emozionato di più nella tua carriera?
Anche qui devo dire che trovarne uno solo sia davvero difficile.
Vado quindi a ripescare tra i ricordi. Una degustazione di Riesling di Mosella fatta ormai più di 20 anni fa mi emozionò perché per la prima volta ebbi la possibilità di assaggiare annate anche di 50 anni e capire la grandezza di un vitigno legato ad un territorio. Ricordo bene lo slancio che mi diede quella serata e quanta curiosità suscitò in me.
Quando assaggi un vino per la prima volta che cosa cerchi come prima cosa?
Cerco l’equilibrio, le “giuste proporzioni” ma soprattutto mi piace sapere le “sue storie” e le persone che lo producono.
Quale vino sceglieresti per una cena ideale e chi vorresti al tuo tavolo per discutere di vino?
Eh, posso esprimere un desiderio?
Mi piacerebbe cenare con un grande personaggio del vino che è Olivier Krug e degustare con lui alcuni grandi vini della maison che porta il suo storico nome di famiglia, magari assaggiandone alcune annate di pregio.
Ecco, io l’ho detto!
Ottimo desiderio!!!
Champagne o metodo classico?
Trentodoc, ovvio!!
Ovvio :)))
Se ti fosse reso possibile creare nuovamente una annata storica quale sceglieresti e dove la vorresti produrre?
Ogni grande vino, ogni grande territorio hanno la loro annata d’eccellenza.
Se forse c’è però un’annata che li accomuna un po’ tutti, quella è la grande 1947.
Quale varietà di uva secondo te meriterebbe più visibilità e andrebbe maggiormente apprezzata?
Da Trentino ti dico il Teroldego Rotaliano.
Varietà dal grande potenziale che sa regalare vini di carattere, che si esalta in un territorio piuttosto delimitato e che ne sa disegnare bene i tratti in funzione della sua microzona di produzione. C’è un gruppo di giovani produttori che con lo slogan di “Teroldego Evolution” stanno portando avanti una valorizzazione di queste peculiarità, credo che daranno un grande slancio all’immagine di questo vino.
Avevo letto, l’anno scorso, della masterclass sul Teroldego a Mezzolombardo. Pensa che è stato una delle mie prime grandi passioni: Teroldego della piana rotaliana e beccacce.
Eh, altri tempi…
Vabbè, torniamo a noi: miglior abbinamento cibo vino a tuo parere?
Ce ne sono a decine di abbinamenti che regalano grandi piaceri al palato ma un bel piatto di patatine fritte croccanti, una buona maionese ed una calice di Trentodoc (o di Champagne in alternativa) alla fine di una lunga serata di lavoro, per me li batte tutti!!
Ultima domanda che riprendo dal nostro schema abituale.
Cosa ne pensi della biodinamica?
E’ un argomento sul quale potremmo parlare tantissimo. Credo che sia importante produrre vini che abbiano alla base un pensiero etico come quello che la biodinamica insegue. Dall’altra credo che questo non debba però diventare un pretesto che ne elevi la percezione di qualità oltre quelli che sono i meriti del vino stesso.
Grazie Roberto! è stato un piacere chiacchierare con un grande maestro del vino come te e bonne chance per le tue prossime sfide!