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Il vino nella scienza e la scienza del vino. Quattro chiacchiere con l’idro-pedologo: Ph.D. Antonello Bonfante

Antonello Bonfante è attualmente primo ricercatore presso l’Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (ISAFoM) del CNR. Dal 2013 al 2018 è stato professore a contratto presso l’Università di Salerno dove ha insegnato pedologia. Attualmente è vice-presidente della divisione Soil Use and Management della Società Italiana di Scienza del Suolo (SISS), ed è membro dell’Osservatorio Regionale Agricoltura di Precisione della Regione Campania (ORAdP). Antonello Bonfante è responsabile per diversi progetti nazionali in viticoltura ed è autore numerose pubblicazioni, molte delle quali legate alla viticoltura.
Qui il suo sito personale.

Antonello, ci diamo del tu, vero?

Certamente,

Cominciamo da una domanda classica per questo blog: come è nata la tua passione per il suolo? E come mai proprio il suolo in relazione alla viticoltura?

Con questa domanda mi induci a fare outing sulla scelta della pedologia. Tutto è iniziato nel 1998 dopo aver sostenuto un esame sulla pedologia con il prof. Fabio Terribile; finiti gli esami, mi dedicai per un anno pieno alla tesi di laurea sulla zonazione viticola. Ovviamente, l’appetito vien mangiando e la pedologia è diventata il mio interesse, una passione o meglio ancora una missione. Su quest’ultimo aspetto è stata fondamentale l’interazione con Em.prof. Johan Bouma, un punto di riferimento mondiale della soil science, con cui condivido diversi lavori ed una forte amicizia.

Il tuo lavoro più recente, pubblicato su Agricultural Water Management, riguarda la relazione tra proprietà idrologiche dei suoli e viticoltura. Puoi spiegare ai nostri lettori cosa sono le proprietà idrologiche dei suoli ed in che modo esse sembrano essere più efficaci rispetto alla pendenza dei suoli nel modulare lo stress idrico a cui possono essere soggette le viti?

Tengo a precisare che quest’ultimo lavoro è stato progettato dal Dr. Angelo Basile e sviluppato poi con gli altri coautori su una prova sperimentale su cui ho lavorato molto in prima persona e nella quale avevamo già pubblicato due articoli internazionali ad alto impatto. Il ruolo del suolo in viticoltura è un tema complesso e controverso. Nella maggior parte dei casi i lavori scientifici tendono a sminuire il ruolo del suolo o semplificarlo. Nel 2017 insieme ad altri co-autori abbiamo dimostrato che l’influenza della variabilità spaziale del suolo nell’ambito di prove sperimentali può sensibilmente inficiare i risultati. Nelle mie presentazioni tendo sempre a ricordare che il sistema vigna è un sistema con una dimensione interdisciplinare e che il singolo settore scientifico riesce a leggere una parte dello stesso, ma non può spiegare tutto.

Veniamo a come le proprietà idrologiche di un suolo agiscono sulla composizione delle uve.

Il movimento dell’acqua nel suolo, la sua ridistribuzione e quindi la sua disponibilità per la pianta dipende dalle caratteristiche idrologiche degli orizzonti del suolo, dal loro spessore e dalla loro distribuzione verticale, dalle condizioni al contorno inferiore (es. presenza roccia madre) e dalle caratteristiche della pianta (intese come capacità di estrarre l’acqua).

In  letteratura è ben descritto come lo stress idrico condizioni la qualità delle uve ed è anche ben evidenziato come tale stress debba essere moderato durante la maturazione delle uve, soprattutto per le varietà rosse (van Leeuwen and de Rességuier 2018).

Questo effetto dello stato idrico della pianta non è una cosa che sorprende poiché l’acqua è il principale regolatore dell’equilibrio ormonale per la vite (Champagnol, 1997).

Di fatto anche la scuola di Bordeaux enfatizza il ruolo del deficit idrico del suolo come fattore dominante nell’effetto terroir.

In pratica, la vite è come un artista che quando si stressa dà il meglio di sé, ma lo stress non deve portare alla morte.

L’andamento dello stato idrico di una vite dipende dalle interazioni che intercorrono tra il suolo, la pianta ed il clima (Sistema SPA). Gli apporti pluviometrici da soli non ci dicono molto sulla disponibilità idrica per una coltura e quindi lo stress a cui la pianta sarà sottoposta. L’acqua che arriva al sistema SPA dalle piogge sarà disponibile o meno in accordo con le caratteristiche del suolo di quel sistema.

Nel suolo l’acqua viene trattenuta dal sistema dei pori, che può avere una distribuzione dimensionale diversa e diversi livelli di interconnessione. La loro formazione è legata a tanti fattori, tra cui il processo di pedogenesi che porta alla formazione di aggregati e da qui la porosità intra e tra aggregati. In base alla dimensione del poro (qui faccio semplificazioni) l’acqua è trattenuta con diversa forza sulla base del fenomeno della capillarità. Di fatto un suolo saturo di acqua vedrà “tutti i suoi pori” pieni di acqua, man mano che si svuota per drenaggio, evaporazione e attingimento colturale, l’acqua verrà trattenuta sempre più fortemente, poiché interesserà pori di dimensioni via via più piccole (si descrive così una curva di ritenzione). Quindi, da un certo punto in poi l’acqua sarà trattenuta con una forza tale (potenziale idrico) per cui la pianta non riuscirà ad estrarre tutta l’acqua di cui necessita in quel momento e finirà in una condizione di stress idrico.

In un vigneto, lungo un versante, la probabilità di trovarsi in presenza di suoli diversi è elevata, e con essa, a parità di gestione, la variabilità delle caratteristiche compositive delle uve.

Il pensiero comune è che il suolo a valle di un versante presenta un regime idrico migliore rispetto al suolo a monte, a causa del ruscellamento superficiale o per movimento laterale interno di acqua. Di fatto omettendo la possibilità che siano le proprietà fisiche diverse di questi suoli a generare una relazione diversa con la pianta, influenzandone il comportamento. Mi spiego. Se abbiamo due suoli molto differenti in piano, è facile pensare che a parità di condizioni climatiche e coltura, la differente orizzontazione (spessore, sequenza e proprietà idrauliche degli orizzonti) genererà una risposta colturale differente. Se questo piano lo incliniamo, entrano in gioco processi di ruscellamento superficiale e possibili flussi laterali lungo il versante. L’attivazione di tali processi è strettamente connessa alle caratteristiche idrologiche dei suoli lungo il versante, allo stato idrico degli stessi ed alla intensità e durata dell’evento piovoso.

Quindi quello che risulta è che ci si trova a dover analizzare un sistema dinamico i cui processi dipendono da tutti i fattori in gioco nel sistema stesso. Per tale motivo, la percezione umana non basta e ci si affida all’uso di modelli complessi non lineari, fisicamente basati per analizzare il  versante in 2D e comprendere, se e come, i processi di movimento di acqua da monte a valle possano aver influito su di una risposta colturale.

Quello che è abbiamo osservato dai dati raccolti da un progetto di microzonazione condotto nel 2013 è che il sistema versante è ovviamente orientato ad attivare tali processi, ma questo avviene soprattutto in autunno-inverno e poco o nulla nel periodo vegetativo della vite (aprile- ottobre). Quindi le differenti risposte colturali realizzate, condizionate dal diverso stress idrico vissuto dalle piante, è per lo più riconducibile alle differenti proprietà idrologiche dei suoli identificati a monte ed a valle dello stesso che non all’effetto versante.

La morale di questa storia è che per comprendere una vigna bisogna conoscerla sopra e sotto.

Oggi la tecnologia sta facendo passi da gigante. Nell’ambito delle pratiche sostenibili, una delle tecniche più alla moda sembra essere l’agricoltura di precisione di cui hai discusso in un tuo recentissimo lavoro apparso su Remote Sensing of Environment. Ci puoi spiegare in cosa consiste e qual è la sua importanza in ambito vitivinicolo?

In linea generale col termine agricoltura di precisione ci si dovrebbe riferire ad un approccio alla gestione agricola, sito-specifica, indirizzato all’ottimizzazione dell’uso delle risorse naturali e non, coinvolte nel processo produttivo, rivolto a migliorare le rese produttive (quantità e qualità) in modo sostenibile (evitando quindi sprechi, processi di degradazione della risorsa suolo, inquinamento dei corsi d’acqua…etc..). In pratica bisogna utilizzare al meglio le potenzialità “naturali” del nostro campo, tenendo conto anche della variabilità spaziale dei suoli nello stesso.

Le attuali politiche agricole rivolte alla sostenibilità ambientale ed alla necessità di aumentare le rese per far fronte all’aumento della popolazione ed i cambiamenti climatici, hanno spinto nell’utilizzo di tecnologie, di varia natura, a supporto di un’agricoltura di precisione. Ma resta un gap importante da colmare sulla conoscenza dei meccanismi di regolazione delle piante ai fattori pedoclimatici (informazioni che rileviamo) che limita fortemente l’utilità dei dati che siamo capaci di collezionare. Inoltre, in ambito vitivinicolo, il termine “precisione” dovrebbe essere rivolto non solo alla conoscenza delle caratteristiche del territorio ma anche alla conoscenza delle peculiarità varietali.

Nel 2018, da un articolo dell’Osservatorio  Politecnico di Milano dedicato all’agricoltura 4.0 (https://www.corrierecomunicazioni.it/ digital-economy/boom-di-agricoltura-4-0-mercato-in-crescita-del-270/ ), emergeva che il 45% degli agricoltori intervistati affermavano di essere coscienti della rilevanza dei dati collezionati da sensori in campo od in remoto, ma non gli è ancora chiaro come valorizzarli. L’importanza di tali sistemi è emersa anche recentemente dall’analisi Coldiretti su dati dell’Osservatorio Smart AgriFood nel 2020, che prevede il coinvolgimento nei prossimi due anni del 10% dei campi coltivati in Italia.

Quindi assistiamo a una espansione dell’uso di sensori fissi o trasportati per il monitoraggio colturale in ambito agricolo e quindi anche vitivinicolo.

A parer mio esistono diverse criticità da risolvere o da discutere nell’utilizzo di tali tecnologie in vigneto che riguardano i sensori di campo, le informazioni telerilevate ed i sistemi di supporto alle decisioni (DSS). Quest’ultimi capaci d’integrare le informazioni collezionate in campo attraverso modelli matematici e fornire opzioni di azione all’agricoltore.

Per quel che riguarda i sensori fissi in campo, si potrebbe aprire un mondo sulla bontà e sulla validità in senso applicativo della misura dei differenti sensori in commercio, è il caso per esempio delle sonde per il  monitoraggio del contenuto idrico del suolo che può essere misurato nei network di campo attraverso sonde di diversa natura e costo. Anche applicando le sonde più affidabili (es. basate sul time domain reflectometry – TDR), l’informazione che otteniamo di contenuto idrico, poco ci racconta sullo stato di stress della pianta se non si conosce la curva di ritenzione del mezzo in cui si trova quella sonda. Due suoli possono presentare stesso contenuto idrico, ma il potenziale a cui quest’acqua è trattenuta potrebbe essere molto diverso e quindi con esso lo stress a cui è sottoposta la pianta.

Altro punto importante è la spazializzazione del dato rilevato che richiede una profonda “conoscenza scientifica” del sistema in cui si opera (geomorfologia, variabilità spaziale del suolo, …etc.)

Quindi, al di là delle criticità di tipo economico vi è un problema di interpretazione del dato che può avvenire solo con un approccio scientifico, non improvvisato.  

Le Informazioni telerilevate sono molto importanti poiché danno una visione dall’alto utile a  comprendere i pattern spaziali di comportamento di una coltura omogeneamente distribuita sul territorio. Purtroppo il vigneto è un sistema agricolo con una struttura spaziale complessa, caratterizzata da filari ed interfilari nei quali ritroviamo la vite, il suolo nudo o essenze spontanee e pertanto richiede una elevata risoluzione spaziale dell’informazione telerilevata.

Come informazioni telerilevate possiamo considerare immagini multispettrali da satellite od ottenute da camere multispettrali montate su drone. Ogni tecnica ha i suoi pro e contro, si potrebbe aprire una discussione lunga e complessa, ma qui vorrei solo porre l’attenzione sulla difficoltà di utilizzo di una immagine da satellite in vigneto per il monitoraggio. Da anni collaboro con un gruppo israeliano esperto in spettrometria e remote sensing (Prof. Anna Brook) e con il mio laboratorio di supporto all’agricoltura di precisione (SPA-Lab, CNR-ISAFOM, https://sites.google.com/view/phdantonellobonfante/lab ) effettuo voli con drone e camere multispettrali.

Il grosso problema delle immagini da satellite multispettrali con alta risoluzione temporale, gratuite (es. Copernicus Sentinel 2A o Landsat) è proprio la risoluzione spaziale. Tale risoluzione è adeguata per colture di pieno campo (food crops), ma non si adatta bene con la scena della vigna per i motivi espressi in precedenza.  In pratica, la risoluzione del satellite fa sì che nel pixel vi sia una informazione relativa ad una superficie mista (Vite-Suolo- essenze spontanee) e quindi l’indice calcolato non è riferibile solo ed esclusivamente alla vite. Di seguito riporto l’immagine dell’indice NDVI ottenuto da due satelliti ed un drone con camera multispettrale, per lo stesso giorno su un appezzamento di 3000 mq di vitigno Greco.

Credo sia ben evidente come la differenziazione in campo delle piante non sia colta dalle immagini da satellite, di fatto solo con l’immagine ad alta risoluzione si riesce a percepire il pattern differenziato nel campo di comportamento delle piante (zona verde al centro dove le piante mostrano una vigoria maggiore), consentendo probabilmente di agire nella direzione di un’agricoltura di precisione. Di seguito un altro esempio in cui un’immagine da drone aiuta a comprendere meglio il differenziamento della risposta colturale.

Se da un lato il drone è vincente per la risoluzione e l’applicazione in agricoltura di precisione, dall’altro il confronto con il satellite è perdente in termini economici e di expertise necessari (es. voli con il drone su superfici ampie, analisi delle immagini, etc.). Poi vi sono le problematiche relative all’informazione che possiamo ottenere in termini di indici sullo stato di salute della pianta, capaci o meno di aiutare realmente la gestione sostenibile e di precisione. Un drone da solo non misura nulla, al massimo vola; quello che può misurare dipende dal sensore o dalla camera che trasporta.
Uno standard di camera multispettrale (VNIR) utilizzata in agricoltura è quella a 5 bande (Blu, Green, Red, Rededge e NIR) che ti consente di calcolare diversi indici vegetazionali quali NDVI, RENDVI, CVI, TVI, GNVI. etc.. Molti di questi danno informazioni indirette sullo stato nutrizionale della pianta (ad es. carenze di azoto) o in generale sono utili a seguire nel tempo lo sviluppo della pianta e riconoscere pattern spaziali per indirizzare i controlli puntuali a terra.
Un limite importante è che da questa tecnologia a 5 bande (VNIR) non si riesce a determinare lo stress idrico della coltura con indici efficienti nel determinare il contenuto idrico fogliare – e quindi lo stress -, poiché essi lavorano nelle bande coinvolte nella regione dello Short-Wave Infrared (SWIR).

(Modificata da https://www.middletonspectral.com/resources/what-is-hyperspectral-imaging/)

Con buona probabilità, dal calcolo degli indici vegetazionali ottenibili si avrebbe una informazione limitata e non completa per un utilizzo proficuo alla risoluzione della problematica,  con la possibilità di generare una errata valutazione. Da qui la necessità di procedere con ulteriori e costose indagini di campo e monitoraggio (per es. variabilità spaziale suolo, misure dirette sulla pianta, etc.) che si prolungherebbero per più cicli colturali.
Con questo cosa voglio dire? Voglio dire che il drone per alcune cose non è la migliore soluzione, e torniamo sulla questione della “conoscenza” del sistema.

Nel lavoro citato abbiamo cercato – e fortunatamente siamo riusciti – a creare e validare un modello matematico di Machine Learning basato su reti neurali, capace di migliorare la risoluzione dell’immagine da satellite Sentinel 2° in vigna, consentendo di fatto l’utilizzo di bande che non ci limitano nell’esplorazione dello stato della pianta nel vigneto (hai le informazioni nello SWIR e puoi calcolarti indici sensibili al cambio di contenuto idrico della chioma come l’NDII -Normalized Difference Infrared Index- Hardisky et al., 1983, cosa improponibile attualmente con i droni).
Inoltre, mi piace sottolineare un aspetto innovativo di tale lavoro unico in letteratura e cioè la validazione del modello d’incremento della risoluzione delle immagini Sentinel attraverso l’analisi retrospettiva dei segnali registrati proveniente dal legno delle piante durante le annate precedenti  (in particolare lo stress idrico).
Una visione interdisciplinare che ha consentito di validare un approccio senza dover aspettare anni di monitoraggio. Un lavoro che ha di fatto consolidato un team composto da ricercatori del CNR, dell’Università di Napoli Federico II, dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” e dell’Università di Haifa che ancora oggi lavorano insieme con entusiasmo.

Infine, per quel che riguarda i sistemi di supporto alle decisioni (D.S.S.) per la vigna vorrei sottolineare che non basta avere un modello numerico per descrivere un fenomeno. I modelli numerici implementati in tali sistemi, ad esempio per la previsione di un determinato attacco fitopatologico, diventano performanti se trasferiti ed adattati al sito d’utilizzo attraverso verifiche di campo. Ad esempio, un modello di previsione dello stress idrico non può descrivere correttamente lo stato idrico della pianta se non vengono fornite informazioni corrette, sito specifiche, del suolo e delle caratteristiche idrologiche dei suoi orizzonti.

La mia conclusione a questa domanda è che la tecnologia è utile, probabilmente l’unico mezzo per affrontare le sfide future, ma vi sono limiti oggettivi nel suo utilizzo sic et simpliciter, per cui la competizione attuale è comprendere, caso per caso, cosa sia veramente utile monitorare ed in che modo.

Ultimo esempio di applicazione delle nuove tecnologie in ambito vitivinicolo, utile ad affrontare l’attuale e futuro cambiamento climatico, è la possibilità di ottimizzare e gestire in remoto le irrigazioni.  Tali tecnologie sono ben sviluppate nell’agricoltura intensiva da food e pronte per un loro utilizzo in ambito vitivinicolo. Ma l’assenza di adeguate conoscenze fisiologiche varietali  sulle relazioni tra stress idrico e risposta colturale ci limiterà nel raggiungimento delle attuali rese qualitative. Dobbiamo quindi sforzarci di studiare ed imparare come gestire lo stress idrico in maniera funzionale per ogni cultivar al fine di ottenere le caratteristiche quali-quantitative desiderate delle bacche. E su questo abbiamo molto ancora da fare sulle cultivar nostrane.

Uno dei tuoi “cavalli di battaglia” è il concetto di terroir. Infatti, hai scritto diversi lavori in merito, l’ultimo dei quali, apparso su una rivista molto diffusa in ambito scientifico, ha titolo: “Unbiased scientific approaches to the study of terroir are needed!”.
Come mai parli di “uso ed abuso del concetto di terroir”?

Tutti tendiamo a legare i prodotti agricoli ai territori di provenienza ed alle annate, ma spesso lo si fa con estrema superficialità e semplificazione. Molti viticoltori, consulenti aziendali e personale scientifico coinvolti in vigna, hanno una conoscenza empirica della robustezza delle relazioni che si verificano in un dato sito tra il sistema suolo-pianta-atmosfera e la composizione delle uve e dei vini prodotti: ciò che manca nella maggior parte dei casi è una comprensione quantitativa di queste relazioni. In pratica in molti casi il concetto di terroir resta chiuso in un black box di cui non si conoscono i processi che portano a quella specifica caratteristica dell’uva e del vino. Si conoscono i caratteri intrinseci del territorio, come varia il clima, l’esposizione, la geologia, la tipologia di tessitura del suolo, ma non si entra nel merito dei processi per poterli quantificare ed immaginare di gestire.

Se guardiamo alle aree DOCG, che rappresentano aree con condizioni peculiari di connessione della qualità di un prodotto ad uno specifico territorio, assimilabili al terroir, ci si rende conto che la delimitazione di tali aree non ha nulla a che vedere con le relazioni ed i processi enunciati in precedenza, ma nascono da logiche differenti. Nella maggior parte dei casi sono limiti amministrativi che però di fatto indirettamente sostengono che in un territorio la risposta del sistema SPA per uno specifico vitigno, con una caratteristica gestione, porta alla produzione di uno specifico vino di alta qualità, certificabile.

Come ben sappiamo la storia è diversa, la variabilità spaziale del suolo è elevata, e lo è soprattutto nelle aree a morfologia complessa dove l’uomo ha agito per preparare i versanti per l’impianto del vigneto. Tale variabilità produce relazioni suolo-pianta differenti a cui si aggiunge la micro-variabilità climatica.  Ad esempio, dai primi dati registrati in un vigneto di Aglianico collocato su un versante di circa 130 m (Az. Tenuta Cavalier Pepe (AV), progetto MISE SENSOBIO- Sensori Biodegradabili per applicazioni in Agricoltura di Precisione) è emersa chiaramente un gradiente termico importante (differenza durante la giornata che raggiunge anche i 2°C) e la presenza di variazioni consistenti degli andamenti tra monte e valle di tutte le variabili climatiche monitorate (es. radiazione solare, velocità del vento,…etc.). Se consideriamo a questo, l’effetto delle variabilità spaziale dei suoli lungo il versante, ci troviamo difronte a due “mondi” differenti tra monte e valle sia in termini di gestione che di potenzialità produttive. Ovviamente parte della variabilità spaziale dei vigneti può essere affrontata e “mitigata” da una gestione differenziata in vigna, ma in molti casi ciò non basta perché il segnale dell’interazione suolo-clima sarà sempre più forte dell’effetto delle azioni realizzate dall’uomo.

In conclusione quello che manca è uno studio di caratterizzazione delle aree viticole volto a comprenderne i processi e le relazioni per poter effettivamente definirne i limiti spaziali di un effettivo terroir. Inoltre, con queste conoscenze sarà più semplice affrontare le sfide attuali e future come ad esempio il cambiamento climatico.

Puoi dare ai nostri lettori una tua definizione oggettiva, se di oggettività sia mai possibile parlare in merito a questo tema, di terroir?

Ho difficoltà a rispondere, poiché esistono diverse definizioni abbracciate da scienziati che lavorano nel settore vitivinicolo nelle quali in parte mi ci ritrovo. Certamente se dovessi però dire la mia stresserei solo due aspetti fondamentali per una definizione: le caratteristiche intrinseche del territorio ed il fattore umano prima della trasformazione.

Di fatto potrebbe essere: “Una porzione di territorio gestita dall’uomo, capace di generare interazioni uniche tra il suolo, il vitigno ed il clima tali da produrre una composizione delle bacche ottimale per uno specifico obiettivo enologico”.  Di fatto questa definizione mira al lavoro di Barham del 2003 (“Translating terroir: the global challenge of the French AOC labelling” https://doi.org/10.1016/S0743-0167(02)00052-9)  e cioè ai fattori naturali e quelli umani prima della trasformazione. Ed in ogni caso non distante dal punto di vista di van Leeuwen espresso nel 2016 all’undicesimo International Terroir Congress in Oregon-USA (“Understanding and managing wine production from different terroirs”) dove il concetto di terroir è ristretto all’interazione della vite con l’ambiente (concetto di ecosistema).

Nella tua definizione di terroir ti rifai a quella di OIV. Lasciando da parte l’origine consolidata e comunemente accettata di terroir, che è quella della scuola di Bordeaux, che ne pensi di quella che invece ne dà l’INAO che così riporta: Spazio geografico delimitato, nel quale una comunità umana ha costruito, nel corso della sua storia, un sapere comune per la produzione, fondato su un sistema di interazioni tra un mezzo fisico e biologico e un insieme di fattori umani. Gli itinerari socio-tecnici messi così in gioco rivelano una originalità, conferiscono una tipicità e conducono ad una reputazione per un bene originario di questo spazio geografico?

Come si può notare da questa definizione dell’INAO, il concetto di terroir è un concetto ampio che abbraccia tante e troppe cose, diventando di difficile focalizzazione e troppo generico. Per tale motivo preferisco guardare alle caratteristiche intrinseche ed alle relazioni del sistema suolo-pianta-atmosfera rispetto alla composizione e qualità delle uve. Tali informazioni possono essere quantificate e studiate per rafforzare il concetto di terroir e non sminuirlo. Certamente l’uomo agisce sul territorio modificando le interazioni che avvengono nel sistema SPA, in alcuni casi positivamente ed in altri creando problemi. Un esempio positivo sono gli effetti dell’opera dell’uomo nei vigneti della regione del Médoc (Bordeaux). In origine vi erano pochi vigneti a causa della topografia piatta e paludosa, dopo che le paludi furono prosciugate a metà del XVII secolo, tale area divenne una regione di vini pregiati. In particolare nei suoli pesanti della zona del Médoc settentrionale ed in alcune pianure alluvionali sono stati realizzati sistemi di drenaggio, modificando di fatto le proprietà intrinseche del territorio ma ottenendo benefici evidenti per le viti. Un effetto negativo può essere la riorganizzazione di un versante pre-impianto con mezzi pesanti che di fatto modifica il sistema SPA, poiché modifica la componente suolo aumentandone la sua variabilità spaziale e con essa la disomogeneità di comportamento delle viti nel vigneto.

Quindi il terroir consente la produzione di vini unici, ovvero tipici per un determinato territorio e la AP dovrebbe essere di grande supporto. A tuo avviso è possibile che vi sia il rischio che il supporto dato da questa tecnica non si riduca poi ad un appiattimento del terroir e un suo stravolgimento invece che ad un suo rafforzamento?

L’agricoltura di precisione può realmente supportare l’agricoltore nelle scelte e nella gestione, dando anche informazioni utili a migliorare il marketing. Il problema è che l’agricoltura di precisione non è mettere un sensore in campo o fare una mappa di NDVI, ma è conoscenza del sistema SPA che si sta gestendo e monitorando. I sensori e le mappe da camere multispettrali equipaggiate su droni aiutano a monitorare qualcosa che avviene in campo, ma non ti dicono come agire. La trasformazione di questa informazione in un’azione mirata da parte dell’agricoltore è figlia della conoscenza dei meccanismi causa-effetto, delle caratteristiche intrinseche del vigneto e degli obiettivi enologici da perseguire.

La tecnologia è solo una grande opportunità. Se conosci le caratteristiche spaziali del tuo sistema ed i meccanismi che intercorrono puoi modulare la risposta della pianta nella direzione dell’obiettivo enologico prefissato, viceversa si possono commettere errori e spendere soldi in pratiche inutili (come l’utilizzo di sensori in campo in eccesso).

Quindi, se l’attuazione dell’agricoltura di precisione passa attraverso la conoscenza e lo studio del sistema, essa può solo rafforzare il concetto di terroir in quanto consente di definire il concetto di potenziale enologico di un territorio. Con tale premessa si va a far luce nel legame tra il vino e il territorio di origine, definendo di fatto la tipicità.

Alla luce di quanto hai detto finora sul terroir, cosa intendi nel tuo paper per storytelling del marketing? Ti riferisci, per caso, all’utilizzo in comunicazione di determinati topoi market oriented?

Semplicemente che il termine terroir è utilizzato in tanti contesti e molte volte anche in modo impreciso. Questo perché l’utilizzo di tale termine è chic, fa trendy, creando confusione anche in ambito scientifico. Probabilmente l’ampiezza della definizione di terroir produce questa generalizzazione ed un suo utilizzo a volte spudorato nel marketing senza la presenza di un reale nesso tra la qualità del vino ed il terroir di cui i parla. Il problema di fondo è che studiare la vigna ed il terroir (stiamo parlando di sistemi multiscala), in termini di effetto terroir e riuscire a riconoscerne in esso l’azione dell’uomo e delle caratteristiche intrinseche, richiede gruppi multidisciplinari di lavoro e tanto tempo ed energie.  Risulta più semplice andare per concetti ampi che poi vengono accettati da altri che se ne appropriano per semplificare la discussione. Resto sempre molto basito quando leggo ad es. del rapporto tra tessitura del suolo e caratteristiche organolettiche del vino: al limite della pozione magica di Paronamix!

Come tradizione per questo blog, è arrivato il momento della domanda provocatoria n.1: ipotizziamo che ti fosse messo a disposizione un fondo illimitato da poter gestire per la viticultura. Non hai vincoli, non hai controlli, nessuna necessità di rendicontazione e nemmeno limitazioni di spazio. Puoi decidere tu il territorio. Un sogno, insomma. Cosa faresti?

Farei più o meno quello che faccio ora con i miei colleghi nel progetto regionale PSR GREASE su vitigno Greco (www.progettogrease.com ), cioè cercherei di imparare cose nuove coinvolgendo nei miei studi colleghi provenienti da settori diversi che hanno una visione interdisciplinare del vigneto. Mi confronterei con colleghi provenienti da realtà diverse ed utilizzerei parte di quei soldi per fare viaggi e studiare sistemi viticoli in ambienti differenti dai nostri.
Inoltre, investirei localmente in divulgazione tra le aziende e consulenti, e realizzerei studi in aziende pilota per dimostrare l’importanza di quello che molti di noi fanno in ambito scientifico.

Domanda provocatoria n. 2: cosa pensi della moda che si chiama “agricoltura biodinamica”?

Penso che “l’arte va premiata” (cit. Totò).
Credo che molti ci cadranno dentro perché è trendy, si possono fare dei bei falò, suonare la chitarra insieme ed invocare gli dei.

Ultimissima: qual è il tuo vino preferito?

Az. Agricola Donna Elvira

Ce ne sono diversi, l’ultimo che mi ha soddisfatto è un Greco di Tufo dell’azienda Donna Elvira, il cui enologo è il Dott. Agr. Arturo Erbaggio. Una nuova realtà enologica che ho visitato recentemente (è importante vedere con mano da dove nasce un vino) che con piacere riporto perché nasce da una visione nuova in cui la conoscenza della vigna e dei caratteri del territorio sono ricercati non per mero marketing ma per migliorarsi.

Grazie! intervista interessantissima.

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