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Del Glifosate e altri racconti (fantastici)

Una breve ma doverosa premessa.

Ma qui non si parlava solo di vino et similia?

Sì, qui si parla anche di viticoltura e di quello che gira attorno ad essa. E quando si leggono alcune esternazioni difficilmente etichettabili, urge almeno fare qualche commento.

Le definizioni svolgono un ruolo fondamentale. Sono cruciali perché è in base ad esse che si costruiscono i perimetri concettuali e logici, oltre che comunicativi, dentro cui muoversi.
Non solo, servono anche a delimitare cosa deve stare fuori dalla definizione medesima, cosa non ricade dentro per ontologia, dinamiche, connessioni non accolte.
Questo per noi è importante perché quando si ricostruiscono certe situazioni molto, molto ingarbugliate, è importante sapere da dove si è partiti, che cosa si intendeva quando si è citato un certo concetto e, soprattutto, si stabilisce se e in che misura il risultato o i risultati prodotti rientrano nel quadro che si è formato precedentemente oppure no.

Fatta questa strana e teoretica premessa ora veniamo ai fatti.

Capita che un personaggio moderatamente conosciuto per la sua presenza su vari social in questi ultimi giorni si esponga su temi di natura squisitamente scientifica.
Capita, anche, che andando a sfogliare i suoi post emerga con evidente e squillante chiarezza – anche per sua stessa ammissione – che di scienza sappia poco o niente.

Infine, capita pure che – da quel che si legge – si possa con buona approssimazione desumere che sia la tipica persona che fa di gusti personali, scelte soggettive e luoghi comuni auto-confortanti, strutture di pensiero ampie e giustificatissime – a parer suo – anche dal punto di vista della scienza, confondendo ciò che piace con ciò che è oggettivo.
Il disvalore dei credo di stampo religioso.

Ab ovo: nel 2016 la Commissione Europea propone di rinnovare l’autorizzazione all’uso del glifosate per i successivi 15 anni. A fronte della riluttanza di molto paesi UE (in primis la Polonia) il periodo viene prima ridotto a dieci anni e successivamente a cinque. L’autorizzazione scade, quindi, il 15 dicembre 2022.
La maggioranza dei paesi UE accetta la proposta per il rinnovo il 27 novembre 2017 e per il momento chiude la partita.
Leggasi: non è un bando assoluto della sostanza, questa è la scadenza per l’autorizzazione all’uso e niente nel comunicato nè nella decisione dell’Unione fa credere che non ci sia ancora la possibilità che venga ulteriormente rinnovato dopo la fine del 2022. Cosa invece possibile.
Qui un ulteriore link europeo.

Capita infine che alcune regioni italiane, in primis la Campania seguita a ruota dalla Toscana, decidano di anticipare le decisioni europee e di bandire il glifosate da questa primavera, senza aspettare di sapere, a livello comunitario, quale sarà la decisione a fine del prossimo anno. Si prendono avanti, così.

In questo frangente, arriva un appassionato di vini che, ribadiamo, pur ammettendo la sua completa ignoranza in tema di scienza del suolo e di chimica in particolare, dichiara di aver supportato la tesi di coloro che chiedono il totale bando del glifosate e, venuto a conoscenza delle posizioni di Campania e Toscana, si lancia in una disamina della situazione e propone una lista di alternative al Roundup pubblicandola in giro per i social.

Prima di criticare, vediamo ora, per l’ennesima volta, cosa è questa sostanza di cui parliamo.

Il glifosato è un erbicida che agisce nel processo biochimico che porta alla sintesi degli amminoacidi essenziali. Si tratta di otto amminoacidi (dei 20 più comuni) che gli esseri umani non sono in grado di sintetizzare e che hanno necessità di assumere dalla dieta.
In altre parole, le piante hanno una peculiarità che noi umani non abbiamo: sono in grado di biosintetizzare delle molecole senza le quali nessun essere vivente sarebbe in grado di sopravvivere.
Mentre le piante riescono ad autoprodursele, noi dobbiamo agire come predatori e mangiare altri esseri viventi (le piante) dai quali assumiamo, tra le tante cose, anche delle molecole che servono per la sintesi delle nostre proteine.

Figura 1. Amminoacidi essenziali (Fonte)

Per avere delucidazioni più dettagliate sulla chimica del glifosate vi rimando ad un ben dettagliato articolo scritto dal nostro chimico di fiducia che ci ha anche fatto da consulente per questo articolo (il prof. Rino Conte). L’articolo qui.

Tralascio, per non allungare troppo il discorso, tutto il tema molto diffuso tra persone – come questo di cui stiamo trattando – della cosiddetta “chemiofobia”, per la quale esiste una netta e invalicabile contrapposizione dicotomica tra chimico e naturale, senza alcuna possibilità di una qualche soluzione di continuità tra le due nè, men che meno, di interconnessioni.

Per chi fosse interessato al tema, en passant suggerisco la lettura dei lavori di Richard Dawkins, Stephen Jay Gould, Edward Osborne Wilson e Jacques Monod.

Al fine del nostro discorso, di tutto quello che si può distillare dalle letture qui sopra a noi interessa un punto chiave e seminale: esiste una relazione univoca tra la struttura chimica e l’attività biochimica.

In altre parole, un composto chimico ha una particolare attività biochimica solo grazie al fatto che ha una struttura chimica tridimensionale ben precisa e univoca. Ne consegue che qualsiasi composto, ottenuto in laboratorio mediante sintesi chimica che presenti la medesima disposizione spaziale degli atomi che lo costituiscono, ha esattamente la medesima attività biochimica.

Stessa struttura: stessa attività biochimica: stessa molecola.

Non ci sono deroghe al proposito, nè differenze di genere a cui potersi appellare.

Quindi, tanto per fare qualche esempio pratico, l’insulina prodotta dal nostro pancreas ha esattamente le stesse proprietà biochimiche di quella prodotta in laboratorio. Del resto, se non fosse così, l’inoculazione insulinica non avrebbe alcun effetto negli individui affetti da diabete di tipo I.
Si può anche aggiungere che l’insulina sintetica è persino migliore rispetto a quella estratta dai maiali (l’estrazione dai maiali veniva utilizzata fino agli anni 50 del Novecento) perché, essendo più pura, provoca meno effetti collaterali.

Ma veniamo a noi.

Con ben presente la regola di cui sopra, andiamo a leggere cosa è stato scritto nell’etere.
Testualmente:

La sensibilità italiana nei confronti dell’utilizzo dei dannosi (ormai è stato appurato da numerosi studi scientifici) erbicidi contenenti glifosato è aumentata negli ultimi anni”.

Non esistono studi scientifici che rivelano la dannosità del glifosate. Esistono, invece, degli studi in cui viene evidenziato come quantità di gran lunga superiori a quelle limite di tossicità acuta e cronica possano influenzare la salute delle cavie da laboratorio. Le dosi di glifosate utilizzate nei lavori citati, oltre alle modalità di somministrazione, sono completamente diverse rispetto a quelle usate in campo, dove il predetto erbicida ha un tempo di residenza medio che va dai quattro giorni fino ai sei mesi circa (qui).

In ogni caso, c’è un altro punto teorico da ribadire e rispiegare (repetita iuvant): il concetto di “dannosità” non ha alcun significato da un punto di vista scientifico. Tutto ciò che ci circonda è dannoso.
Già Paracelso nel XVI secolo aveva capito che “è la quantità che fa il veleno”.
Da un punto di vista scientifico, per ogni composto chimico o miscele di essi si definisce il concetto di rischio e pericolo.
Io la trovo una bella definizione che consente di differenziare e comprendere la diversità tra rischio e pericolo – v. blog della Società Chimica Italiana (qui) -.

In poche parole: il pericolo è una qualità intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare danni​, mentre il rischio è la probabilità di raggiungere il livello potenziale di danno nelle effettive condizioni di impiego​. Insomma, un composto può essere pericoloso ma non rischioso, ossia avere una valenza mortale ma non essere concentrato a sufficienza.

Figura 2. Paracelso

Se pensi che tutti i frutti maturino contemporaneamente come le fragole

non sai nulla dell’uva.

Andiamo oltre. Il soggetto in questione fornisce una serie di alternative all’uso del glifosate tali che qualche commentatore le definisce “sesquipedali scemenze”.

Una delle alternative che propone è il diserbo manuale e meccanico mediante l’uso di “zappa, falce, falcetto e fresatrici orizzontali, coltelli scalzanti o decespugliatori verticali anche con meccanismo di rientro a bandiera per sesti di impianto più stretti”. Egli non si rende conto che l’alternativa che propone è attualmente realizzabile forse solo nell’orto dietro casa, ovvero su superfici decisamente ridotte.

Provate però a immaginare quanti operai e quanta fatica si deve fare con zappa, falce etc. se si dovesse bonificare dalle erbe infestanti una superficie di un centinaio di ettari ma anche di meno se si parla di vigneti, come nel suo caso.

Vogliamo parlare, invece, del diserbo a vapore? Il vapore è acqua in fase gassosa alla temperatura di circa 100 °C. Quando si utilizza il vapore in un campo si “ammazzano” tutti gli organismi viventi, inclusi i microorganismi del suolo che sono fondamentali per la fertilità.

In pratica, la sua intenzione sarebbe quella di sterilizzare il suolo. E non è nemmeno il primo Aprile.

La sterilizzazione si ha anche col pirodiserbo, ovvero con la pratica di utilizzare una fiamma per eliminare le piante infestanti. E vogliamo parlare della schiuma fatta con acqua calda in cui vengono disciolti oli vegetali?

Purtroppo per lui, gli oli vegetali, ancorché naturali, non fanno bene all’ambiente. Anche tali oli, infatti, possono avere attività battericida con potenziale sterilizzazione del suolo (ancora, sì).

E ancora. Il solo pensare che far pascolare gli animali, magari di grossa taglia, in un vigneto possa essere di beneficio, mi perplime.

Infine, l’uso dell’acido acetico. Se cerchiamo in rete le schede di sicurezza del glifosate (qui) e dell’acido acetico (qui) possiamo leggere che la LD50 del primo è di 4870 mg/kg (somministrazione orale), mentre quella del secondo è 3310 mg/kg (somministrazione orale). La LD50 è la dose di principio attivo necessaria per uccidere il 50% delle cavie a cui esso viene somministrato.

I numeri indicati – quindi – dicono chiaramente che l’acido acetico è certamente più tossico del glifosate. Usare come diserbante alternativo un principio attivo più tossico del glifosate è certamente un paradosso.

Non è mio compito far cambiare idea alle persone nè ingaggiare battaglia con persone di difficile dialogo: alla fine diventa uno scontro di civiltà che non mi sento di intraprendere e io su questo tema seguo i saggi consigli di Sun Tzu.
Ma ogni qualvolta qualcuno si lancia in simili esternazioni, una serie di ricercatori (chimici del suolo, pedologi, viticoltori, vignaioli ed altri) muore piangendo (assieme alle vacche che pascolano intrafilari e vengono beccate dal vapore, producendo già latte pastorizzato camminando sulla corrente elettrica dei vigneti).

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