Il libro è dedicato alla Bellussera, particolare forma di allevamento della vite nata a Tezze di Piave verso la fine del 1900 da un'invenzione dei fratelli Bellussi, da cui il nome. Bell'esempio di tecnica viticola, di conoscenza e di mestiere, la Bellussera diventa un vero e proprio paradigma: memoria vivente di lavoro, di cultura e di identità dei territori lambiti dal fiume Piave. Una memoria che questo libro si augura di contribuire a preservare, nonostante il dilagare sempre più diffuso di metodi di produzione viticola intensiva in contrasto con questo tipo di allevamento.
Molti secoli sono trascorsi da quando, come narra una leggenda, una ricca signora venuta dall’Egitto, carica d’oro, con cammelli e largo seguito e con i figli si fermò a Tezze di Vazzola e con la sua progenie diede inizio alla stirpe dei Bellussi. Tuttavia nel tempo il nome Bellussi è sempre rimasto legato a Tezze di Piace ed ancora oggi viene associato alle innovazioni ed alla qualità nell’ambito dell’attività vitivinicola e dell’allevamento della vite. Qui un tempo su una superficie di circa 50 ettari di vite, si coltivavano solo uve destinate al taglio, come il Raboso che veniva prodotto in circa 10 mila quintali e costituiva un po’ il simbolo di questa realtà. L’Azienda però non rimase con le mani in mano e cercò di trovare nuove soluzioni. Verso la fine degli anni sessanta, iniziò a diversificare la sua produzione aggiungendo al Raboso qualche altra varietà.
I fratelli Bellussi possono considerarsi in Italia gli antesignani del rimedio iniziale costituito di idrato di calcio per combattere la peronospera. Fra il 1883 e il 1885 (la peronospora comparve per la prima volta in Europa nel 1879) anche in Italia le foglie delle viti attaccate dal tremendo flagello mostravano ovunque i loro nudi tralci e si ritiene che soltanto in Italia Settentrionale i danni risentiti dai vigneti superassero i centocinquanta milioni all’anno, cifra iperbolica se si tiene conto dell’entità della valuta in quegli anni.
Mentre la malattia imperversava, i Bellussi si dedicarono a vari esperimenti; nella primavera del 1883 usarono polvere di calcio somministrata alle viti con un comune soffietto; ma poiche’ a parere dei medici tale trattamento avrebbe potuto recar nocumento alla salute degli operai addetti che si rifiutarono di farlo, allora i Bellussi portarono a termine personalmente l’esperimento usando 120 quintali di calce su alcuni dei loro vigneti. I primi risultati non furono molto soddisfacenti. Perseverando, i Bellussi, nel loro esperimento provarono a somministrare la polvere al mattino, quando ancora le foglie della vite erano bagnate di rugiada e si accorsero che il liquido che si formava (idrato di calcio) valeva molto meglio della polvere a preservare le foglie dall’ingiallimento e dalla caduta. Perciò nel successivo 1884 applicarono latte di calce ad una vite, all’insaputa di tutti, e ne ottennero risultati insperati. Nel 1885 adottarono il nuovo rimedio su larga scala, con grande successo.
Le prime applicazioni di questo sistema furono sperimentate dai fratelli Girolamo e Antonio, agricoltori di Tezze di Piave (TV). La prima fase di tale sperimentazione consistette nell’alzare le viti a m. 2.50 circa da terra, a fianco di un tutore vivo e piegandole in guisa da formare capi a frutto che venivano fissati per le estremità a pali di legno posti alla metà dell’interfilare. In tal modo era data la possibilità ai tralci fruttiferi della vite di rimanere al di fuori della zona d’ombra prodotta dal tutore vivo. Senonché, essendosi dimostrato tale sistema assai ingombrante e di non troppa solidità, fu successivamente modificato dagli stessi fratelli Bellussi, ponendo un palo in legno, alto 4 metri, accanto al tutore vivo, quasi per rinforzo. Questo palo aveva la funzione di sorreggere alcuni fili di ferro disposti a raggio congiungentisi ad altri pali in corrispondenza ad ogni capo a frutto. I Bellussi collocarono una piccola frasca che aveva lo scopo di dare la possibilità ai germogli di affissarsi. I cordoni, così sistemati, riuscivano ad assumere direzione obliqua.