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Il vino nella scienza e la scienza del vino. Quattro chiacchiere con lo scienziato del suolo: Robert White

Il professor Robert White è Emerito presso la Facoltà di Scienze Veterinarie e Agrarie dell’Università di Melbourne in Australia. La sua lunga esperienza lo ha reso uno dei più importanti, rinomati e riconosciuti scienziati del suolo a livello mondiale. È autore di molti volumi che vengono utilizzati come libri di testo nelle università di numerosi paesi. Tra i tanti pubblicati, il professor White è autore di Principles and Practice of Soil Science: The Soil as a Natural Resource” (Wiley-Blackwell Publishing), “Soils for Fine Wines” (Oxford University Press), “Understanding Vineyard Soils” (Oxford University Press) e “Healthy Soils for Healthy Vines“, scritto in collaborazione con Mark Krstic (pubblicato da CSIRO Publishing e CABI).
La sua attività scientifica è legata particolarmente allo studio dei suoli dei vigneti oltre che a questioni ambientali globali quali i cambiamenti climatici e il sequestro del carbonio organico nei suoli. Il professor White è autore di oltre 200 pubblicazioni (tra libri e articoli) con un record di oltre 10.000 citazioni che gli consentono di poter vantare un h-index di 52 in Google Scholar e di 41 in Scopus, tra i più elevati nel mondo della scienza del suolo.

Robert, prima di tutto grazie davvero per la tua disponibilità a concedermi questa intervista. È un vero onore ospitare una personalità così importante nel mio blog.

La prima domanda è un classico per noi: come è nata la tua passione per i suoli? E perché proprio i suoli dei vigneti?

Sono stato incoraggiato a seguire la mia carriera nella scienza del suolo da un docente che ho avuto all’università. Per molti anni, quindi, ho lavorato sull’agricoltura su vasta scala in varie parti del mondo, anche dopo il mio ritorno in Australia nel 1992. Tuttavia, durante un viaggio di studio al vigneto Great Western a Vittoria, sono rimasto colpito dal fatto che il direttore del vigneto non desse importanza al suolo: per lui era tutta una questione di fisiologia della chioma e della vite.
Da qui ho capito che c’era una grande opportunità di miglioramento nella conoscenza del suolo vitato, specialmente in Australia, dove l’attenzione al tema del suolo è stata incentivata e incoraggiata da persone come Richard Smart, John Gladstones e Brian Crosier.
Nel 1999 decisi di prendere un periodo sabbatico e recarmi a Berkeley in California, dove un mio caro amico, il professor Gary Sposito, mi aveva offerto un ufficio e sostegno finanziario. Sono andato lì per “preparare” i vigneti e raccogliere materiale per il mio primo libro su suolo e viticoltura, Soils for Fine Wines, pubblicato nel 2003.
I californiani sono stati estremamente disponibili con me.

Vigneti australiani

Quando poi sono tornato a Melbourne, insieme a uno dei miei assistenti abbiamo iniziato a misurare il contenuto di acqua nei suoli in diversi vigneti della penisola di Mornington, e la storia della mia passione per i vigneti è sbocciata da lì.

Vigneti nei pressi di Mornington

Hai scritto molte cose sul concetto di terroir e sul suo uso (e soprattutto sul suo uso improprio).
Che cosa è il terroir per te?


Non ho una particolare sensibilità in merito al termine terroir. Sono state date molte definizioni di terroir e ammetto che il termine terroir – quando si parla di un vino – è un concetto sfaccettato che incarna tre ampie categorie di fattori:

  1. fattori naturali associati all’ambiente (talvolta chiamati “dotazioni”);
  2. fattori umani – che comportano l’uso di tecniche in vigna e in cantina tipiche di una specifica regione (talvolta definite “tecnologie”);
  3. fattori storici – che riflettono una diffusa conoscenza condivisa del vino che viene da una particolare regione e il riconoscimento che questa, per quel territorio, è una lunga tradizione.

Per quel che riguarda il mio lavoro, mi sono concentrato sulla componente “suolo” dell’ambiente.

In tutto il dibattito scientifico su come un fattore, o una combinazione di essi, determini il terroir di un luogo, un punto dovrebbe sempre essere tenuto a mente: cioè il carattere distintivo di un vino, espressione del terroir, è – in ultima analisi – determinato dalle sue proprietà sensoriali (gusto, sensazione che dà alla bocca, aroma e così via) e questo dipende dalla persona che lo beve.

I vignaioli e gli autori che scrivono di vino tentano di influenzare – in senso positivo – l’accoglimento e l’apprezzamento di un vino da parte dei consumatori, spesso infarcendo le proprie descrizioni con sgargianti e rutilanti descrittori relativi al suo carattere unico e alla sua attrattività, ma sta poi al consumatore giudicare alla fine un vino.
Quindi, il gradimento del terroir di un vino può essere davvero una cosa molto, molto variabile e soggettiva.

Quanto è importante il terroir per la qualità del vino?

Terroir e qualità del vino non sono necessariamente correlati.
Il concetto di terroir riflette il senso del luogo e della sua tradizione – una sorta di genius loci – come ho accennato prima.

Clos de Vougeot – tipico esempio del concetto di terroir

La qualità si riferisce a quanto bene un vino è fatto e dipende dalla qualità dell’uva utilizzata, dall’abilità del viticoltore nel trasformare quell’uva in vino, e dall’attenzione al dettaglio in cantina.
Anche in questo caso, la valutazione della qualità dipenderà dal consumatore, anche se, per essere precisi, il consumatore dovrebbe essere un appassionato davvero esperto di vino.
Ci si dovrebbe aspettare, infatti, che un vino di scarsa qualità non sia in grado di riflettere il terroir del sito da cui proviene.

In che modo i suoli australiani sono diversi dagli altri suoli di tutto il mondo?

Le viti per uva da vino sono allevate principalmente in Australia meridionale, a partire dalle regioni con un clima di tipo mediterraneo, nel sud-ovest dell’Australia occidentale, proseguendo poi in Australia meridionale sud-orientale, fino alla regione Victoria e al Nuovo Galles del Sud, fino a spingersi alla Hunter Valley, e, ancora oltre, in Tasmania.


Come si può immaginare, i vigneti che coprono una zona così vasta (ma non necessariamente contigua) comprendono una grande varietà di suoli.
Di conseguenza, è abbastanza prevedibile che si possano trovare in altre parti del mondo suoli simili alla maggior parte di questi terreni australiani.

Tuttavia, c’è un tipo di suolo (ad un livello di classificazione più alto) che è molto comune in Australia meridionale e non così comune altrove nel mondo.
È il cosiddetto suolo ‘duplex’.

Questo nome generico deriva dalle caratteristiche del profilo del suolo, ed è tipicamente riferito a una situazione indicata come a “contrasto di tessiture”: ad esempio un orizzonte A di tipo sabbioso con un confine netto su un orizzonte B di tipo argilloso.

Esempio di orizzonti di un suolo

Questi suoli danno particolari problemi di gestione perché, a seconda della loro genesi, possono presentare sub-suoli acidi o sodici, ed entrambe le situazioni tendono ad inibire lo sviluppo radicale.

Nelle zone più vocate della fascia costiera, che è caratterizzata da piogge invernali, questi terreni possono periodicamente presentare ristagno idrico nella parte superiore dell’orizzonte B. Tuttavia, i vignaioli australiani hanno generalmente imparato a superare le sfide che pone la gestione di questi terreni migliorando quando è possibile la struttura del suolo attraverso l’uso di colture di copertura, pacciame e compost.

Ritieni che queste differenze possano offrire particolari caratteristiche di qualità al vino australiano rispetto, ad esempio, ai vini francesi e italiani?

Come ho detto prima, la qualità del vino è determinata dalla qualità delle uve utilizzate, dall’abilità dell’enologo e dall’attenzione ai dettagli in cantina. Questo vale per qualsiasi vino, sia esso australiano, francese o italiano.
Tuttavia, il terroir di un sito può conferire differenze tra i vari vini e, dal momento che i terroir possono essere molto tipici per un determinato sito (site-specific), ci si potrebbe aspettare che alcuni vini australiani siano caratteristici e peculiari al confronto con altri.
Sebbene questo non si possa applicare ai vini fatti con uve che provengono da più regioni (come per esempio Penfolds Grange), tali vini possono comunque essere di alta qualità.
Gli stili del vino, che riflettono in gran parte i metodi di vinificazione che vengono utilizzati, possono anche essere diversi da regione a regione all’interno di un paese e tra paesi.

Barossa Valley South Australia

Hai scritto un libro molto interessante: Terreni sani per viti sane: gestione del suolo per vigneti produttivi.
Puoi spiegare ai nostri lettori che cosa intendi per “salute del suolo”?

La salute del suolo è attualmente un termine largamente usato ed è un sinonimo con significato molto vasto di qualità del suolo. Questo nella letteratura sull’agricoltura si identifica con “idoneità allo scopo” di un terreno.

Per chi fosse interessato al volume del Professor White lascio il link nell’immagine

Tuttavia, “salute del suolo ha ora ampiamente sostituito la definizione “qualità del suolo” come descrittore, principalmente perché implica più direttamente la condizione biologica di un terreno. Negli ultimi anni è stata posta maggiore enfasi sulla condizione biologica del suolo. Ciò è dovuto in parte al fatto che questo aspetto, in passato, è stato sottovalutato rispetto alle condizioni fisiche e chimiche del suolo; e in parte perché stiamo imparando molto di più sulla struttura e sulla funzione del microbioma del suolo.
In tutta l’agricoltura, compresa la viticoltura, un risultato pratico di questo cambiamento di enfasi è l’adozione del tema dell’”agricoltura rigenerativa” e dell’agricoltura biologica e biodinamica.

Abbiamo trattato il tema del microbioma con il Professor Massimo Labra che ce ne ha illustrato le caratteristiche e introducendoci al tema QUI.
Ti chiediamo ora di spiegarci perché la salute del suolo è connessa al concetto di viti sane.

La vite è una pianta perenne e, quindi, ci si aspetta che i vigneti siano produttivi per molti anni. Se il terreno in cui crescono non ha il giusto equilibrio di proprietà fisiche, chimiche e biologiche, la crescita delle viti ne risentirà sensibilmente ed è quindi probabile che le piante si ammalino o siano poco sane: ovvero, non producano uve di buona qualità.

Ci sono pochi scienziati in tutto il mondo che si concentrano sulle caratteristiche dei suoli dei vigneti.
Quando navigo nel web, sovente trovo che i geologi sono i principali scienziati che cercano di trovare una correlazione tra la qualità del vino e la geologia dell’ambiente in cui crescono le viti. Eppure, le rocce sono la base per la pedogenesi, e le viti crescono sui suoli da dove prendono sostanze nutritive.
Hai qualche spiegazione sul perché gli scienziati del suolo sembrano non essere così interessati ai terreni dei vigneti?

Penso che forse la tua domanda si riferisca al numero di scienziati del suolo che studiano principalmente i suoli dei vigneti.
Una spiegazione di quanto dici può dipendere dal fatto che questo riflette l’importanza della viticoltura rispetto all’agricoltura su vasta scala che produce alimenti di base e fibre.
Il vino, dopo tutto, non è un prodotto vitale.

In secondo luogo, la geologia è più antica rispetto alla scienza del suolo e quindi il geologo potrebbe aver avuto un “vantaggio” temporale nell’esplorare le complessità di ciò che succede sottoterra.

In terzo luogo, ci sono stati alcuni libri influenti sul vino e la geologia pubblicati nel corso degli anni come Wine and Winelands of France. Geological Journeys di Pomerol (1989), Terroir. The Role of Geology, Climate and Culture in Making of French Wines di Wilson (1998) e, più recentemente, il libro di Maltman Vineyards, Rocks, & Soils (2018).

Ma come dici tu, la vite cresce nel terreno anche se questo può anche non essere troppo profondo, quindi il nostro punto di partenza nello studio della crescita della vite e della produzione di uva dovrebbe essere il suolo.
Ho cercato di presentare questa argomentazione nei miei libri.

Ho appena pubblicato un articolo relativo all’uso del descrittore “minerale “proprio qui nel blog assieme alla Dottoressa Bambina e al Professor Conte.
Qual è la tua opinione sull’uso del termine “mineralità” che spesso si sente usare come descrittore durante le degustazioni di vini?

Spesso gli autori di vino usano il termine “mineralità” in associazione ad aggettivi come “slatey”, “flinty” e “chalky” per implicare un gusto nel vino che è direttamente determinato dal terreno in cui vengono coltivate le viti.

Sierra Velasco – Argentina

Tuttavia, la maggior parte degli scienziati del suolo e i geologi non condividono questa correlazione diretta tra i minerali del suolo e il gusto del vino, con la possibile eccezione di un sapore salato o addirittura “saponoso” causato dal salgemma (cloruro di sodio) nel terreno.

Una ricerca condotta sui vini francesi e neozelandesi prodotti con il Sauvignon Blanc suggerisce che esperti degustatori potrebbero percepire un gusto che si può definire minerale principalmente a causa dell’assenza dei sapori floreali e degli aromi spesso associati a tali vini.
La spiegazione più probabile per un gusto “minerale” è che un composto di sapore specifico è derivato dalle uve durante la maturazione o viene sintetizzato nel vino durante la fermentazione.

Che dire allora del suo uso da parte degli enologi che usano il termine per indicare una relazione tra il suolo e il sapore del vino?

Gli enologi sono degustatori professionisti di vino e descrivono tutti i tipi di sapori e aromi dei vini che producono e gustano. Alcuni dei termini usati sono molto fantasiosi, come fa per esempio James Halliday, il decano degli scrittori di vino australiani che è un ex viticoltore e che descrive una “mineralità infusa di agrumi“.
I consumatori possono o non possono essere convinti, ma se i descrittori fantasiosi li invogliano a provare un vino, l’enologo e lo scrittore di vino avranno raggiunto il loro obiettivo.

Cambiamo tema. Cosa significa sostenibilità per te?

La sostenibilità in agricoltura può significare cose diverse per persone diverse.
I singoli agricoltori biologici possono sostenere che il loro sistema è sostenibile se praticano il riciclaggio e non portano nulla dal di fuori dell’azienda. Ma a lungo termine, se i prodotti raccolti lasciano l’azienda agricola, e ci sono perdite dal suolo, un tale sistema alla fine “si degraderà” e quindi non sarà sostenibile.

Su una scala areale più ampia, se i materiali vengono portati in aziende agricole da fonti esterne, l’intero sistema non sarà più sostenibile perché le risorse vengono esaurite da qualche altra parte nel sistema. Ma questo disequilibrio potrebbe richiedere molto tempo prima di rendersi palese.

Di nuovo, su scala molto più ampia, c’è la questione della civiltà umana e dei suoi materiali di scarto, in gran parte smaltiti nell’ambiente.
Per quanto tempo questo può essere sostenibile? Potremmo anche ipotizzare che – forse – in un lasso di tempo ancora più lungo, l’attività vulcanica della Terra possa ricostituire alcune delle materie prime di cui abbiamo bisogno per la nostra esistenza, e quindi ritardare l’emergere della insostenibilità.

In altre parole, la sostenibilità non ha senso a meno che non specifichiamo una scala di riferimento e un lasso di tempo.
Ma una cosa è certa, è molto difficile prevedere il futuro, come dovrebbe insegnarci l’inizio dell’attuale pandemia di Covid-19.

L’anno scorso un articolo intitolato “Quali sono le aspettative realistiche per fare soldi con crediti di carbonio nei vigneti?” è apparso sulla rivista Australian and New Zealand Grapegrower and Winemaker.
Puoi dire ai nostri lettori cosa sono i crediti di carbonio e perché sono importanti?

I crediti di carbonio sono importanti in qualsiasi sistema per compensare le emissioni di gas serra, gas che è essenzialmente formato dall’anidride carbonica derivante dalla combustione di combustibili fossili.
Si può dire che ogni tonnellata di carbonio in più che può essere sequestrata nel suolo (principalmente nella materia organica del suolo) compensa a lungo termine (idealmente 100 anni) l’emissione di 3,67 tonnellate di anidride carbonica equivalente (CO2-e).
Superficialmente, questa sembra essere una proposta attraente perché l’aumento della sostanza organica del suolo è generalmente un bene per la fertilità del suolo e la produttività delle colture.

Tuttavia, un tale meccanismo di compensazione non dovrebbe giustificare i governi, l’industria e gli individui dal non agire per ridurre le emissioni di gas serra provenienti da varie fonti: estrazione mineraria, produzione di energia, produzione di beni, bonifica dei terreni, trasporti, edifici e case.

Tornando alla domanda posta nel titolo del tuo articolo su “Australian and New Zealand Grapegrower and Winemaker”, puoi riassumere brevemente la tua risposta per i nostri lettori? È possibile guadagnare qualche cosa con i crediti di carbonio parlando di vigneti?

Il mio articolo si riferiva specificamente ai vigneti australiani e alla possibilità di guadagnare crediti di carbonio nell’ambito del Fondo australiano per la riduzione delle emissioni (ERF). Questi crediti sono chiamati Australian Carbon Credit Units (ACCU) e dovrebbero essere equivalenti alle unità del Protocollo di Kyoto.
Per guadagnare questi crediti un viticultore deve gestire il vigneto con pratiche che non sono state utilizzate nei 10 anni precedenti e impegnarsi a mantenere questo tenore per un minimo di 25 anni.
Nei primi tre anni di questa gestione, ci sono costi significativi associati alla conformità della raccolta dei campioni di suolo secondo un protocollo approvato e alle analisi dei campioni medesimi, oltre che al controllo dei risultati ottenuti.

Poiché vi è incertezza sul fatto che i vigneti siano ammissibili a tale regime, nessun vigneto è stato ancora registrato nell’ambito del FER. I crediti di carbonio sono assegnati per tonnellata di CO2-e sequestrati per ettaro.
Nei terreni vitati, l’area in ogni ettaro che può accumulare carbonio del suolo è ridotta. Dato che il valore di un ACCU ha avuto una media di soli 12 AUD12 per tonnellata di CO2-e negli ultimi 6 anni, il costo della partecipazione probabilmente supererebbe il beneficio che si potrebbe ottenere dal sequestro del carbonio del suolo.

Ho visto che avete commentato la discussione dell’iniziativa 4p1000. Che cosa significa l’acronimo? E perché è importante?

La proposta 4p1000 sostiene un aumento annuo dello 0,4 per cento del carbonio del suolo nei suoli a livello globale. Ciò è considerato importante perché questo tasso di aumento è stato stimato considerando la compensazione necessaria per l’aggiunta annuale di CO2 nell’atmosfera a causa delle attività umane.

Perché pensi che l’iniziativa 4p1000 dovrebbe avere un altro nome?

Phillippe Baveye ed io abbiamo sostenuto in un articolo su Ambio (2019) che il lancio di questa iniziativa alla Conferenza sul clima di Parigi nel 2015, e la sua successiva promozione, potrebbero convincere i responsabili politici che i problemi mondiali di emissione di gas a effetto serra potrebbero essere in gran parte risolti dalle compensazioni del carbonio del suolo.
Abbiamo sostenuto che ciò non era realistico nei tempi in cui è necessario intervenire con efficacia per ridurre le emissioni. Inoltre, potrebbe dare ai governi una sorta di “foglia di fico” dietro la quale potrebbero nascondersi e non prendere difficili decisioni necessarie per ridurre le emissioni in altri modi. Quindi, abbiamo suggerito che dovrebbe essere chiamato “aspirazione” invece che “iniziativa“.

A tal proposito, i produttori di vino possono fare molto di più per ridurre le loro emissioni riducendo il loro consumo, direttamente e indirettamente, di combustibili fossili e passando molto di più all’energia rinnovabile, cosa che molti stanno ora facendo.

Arguisco – dal tuo articolo su “Sustainability” – che in Australia avete gli stessi problemi che abbiamo in Italia riguardo al contrasto tra scienza e pseudoscienza. Ciò si basa sulla sfiducia generale nella scienza e nell’attività scientifica. Qual è, secondo la sua opinione, la ragione di questa sfiducia generale?


Beh, non direi che c’è una generale sfiducia nei confronti della scienza qui, ma dalla diffusione globale di Internet e dei social media, sono state propalate molte idee e opinioni non ortodosse che sono contrarie alle conoscenze scientifiche.

Dal momento che il livello generale di alfabetizzazione scientifica nella comunità non è particolarmente elevato, queste opinioni non ortodosse hanno guadagnato una certa attrattiva.
Tuttavia, quelle che consideriamo “filosofie alternative” sono di fatto “pratiche” di gestione del territorio non convalidate da una scienza rigorosa e, in alcuni casi, basate solo su “sistemi di credenze”.

Quali sono, secondo te, le possibili soluzioni per superare questa sfiducia?

La scienza ha bisogno di più campioni, vale a dire scienziati rispettabili e credibili che siano in grado di ottenere efficacemente risultati di consenso con il grande pubblico.

Un efficace “comunicatore” è una persona che non è particolarmente specializzata sull’argomento, ma è in grado di comunicare il suo entusiasmo per la scienza in modo non condiscendente e tuttavia trascinante per il pubblico.

La persona in questione deve anche avere un buon rapporto con i media – giornalisti e presentatori di varie trasmissioni. Non molti possono farlo. Abbiamo per esempio un ottimo comunicatore in Australia che si chiama Dr. Karl Kruszelnicki (puoi trovarlo su Google).

Arriviamo alla nostra prima domanda provocatoria: cosa ne pensi della viticoltura biodinamica basata sui suggerimenti di Steiner?

Rudolph Steiner era un tuttologo che nel penultimo anno di vita tenne una serie di conferenze sull’agricoltura e sul cosmo. Da queste sei lezioni si è evoluta la pratica agricola ora chiamata biodinamica.
La scelta di questo nome è stata una straordinaria operazione di marketing da parte sua perché il termine ha un tocco di mistero e rimanda ad una forza vitale vigorosa.

Cornoletame in biodinamica

A seconda del suolo e dei suoi input organici, i vigneti biodinamici possono soffrire di carenze nutritive nel tempo e il controllo dei parassiti/malattie può essere un problema. È pure un sistema laborioso, decisamente difficile da implementare su larga scala; tuttavia questo può diventare un vantaggio se applicato su piccoli vigneti perché significa che il viticultore è spesso in vigna a tenere sotto controllo le viti.


La viticoltura biodinamica dipende fortemente dalle preparazioni speciali che vengono applicate al suolo e alla vite. Tuttavia, non vi è ancora alcuna prova conclusiva che questi preparati cambino la composizione e la funzione del microbioma del suolo in modo da migliorare le prestazioni della vite rispetto a quella del suolo sano “non biodinamico”.

Né – nella degustazioni – i vini biodinamici sono stati giudicati sempre migliori dei vini dello stesso sito prodotti però biologicamente o, addirittura, in modo convenzionale.
Alla fine, la biodinamica è un “sistema di credenze” che dipende esclusivamente dalle scelte personali e soggettive di un vigneron.

E questa è la nostra seconda domanda provocatoria: supponi di poter ottenere una quantità illimitata di denaro da qualsiasi autorità pubblica sovranazionale. Puoi usare questo denaro per la viticoltura, senza alcun limite territoriale, qualsiasi controllo, vincoli e nessun obbligo di segnalazione. Come lo useresti?

Dato lo stato attuale dell’economia globale e dell’industria vinicola in particolare, comprerei una prestigiosa cantina e continuerei a produrre vino fino a quando non siano finiti tutti i soldi.

Ultimo: qual è il tuo vino preferito?

Ho apprezzato molti vini ben fatti e alcuni vini distintivi provenienti da molti paesi. E ‘difficile scegliere un preferito…

Ultima ultimissima: vini australiani, francesi, americani o italiani?

Tra i vini australiani, quello che considero decisamente il migliore è lo shiraz Hill of Grace di Henschke del Sud Australia. Un altro vino eccellente è il Pinot Nero di grande qualità prodotto da Bass Phillip a Victoria.
In Europa, uno Chateau d’Yquem di vendemmia tardiva ha un posto d’onore nella mia memoria.
Con mia moglie, alcuni anni fa, a cena a Cormons, mi sono goduto molto un Pinot Grigio friulano.

Grazie, è stato un onore ospitarti qui.

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