Cos’è l’ozono?
Io: Chimico, che cosa è esattamente l’ozono?
Chimico: L’ozono è una forma allotropica dell’ossigeno…
Cominciamo male. Detta così non so quanti continueranno la lettura di questo articolo. Cerchiamo allora di capire in modo semplice qualcosa sull’ozono senza usare un lessico troppo tecnico.
L’ossigeno è un elemento della tavola periodica che alloggia presso via del Periodo 2, Isolato 16, n. civico 8.
In natura esso si presenta come molecola con due atomi attaccati (cioè uniti da un legame che viene definito “covalente”), ovvero nella forma che tutti conosciamo di O2.
Rappresenta circa il 20 % del peso della miscela gassosa (in questo caso bisogna anche definirla “secca”, ovvero senza umidità) che respiriamo e che ci consente di vivere.
Il restante 79-80 % è costituito da azoto (N2) mentre meno dell’1 % è costituito da altri gas tra cui, il più abbondante, l’anidride carbonica (CO2).
Nella stratosfera, ovvero nella zona dello spazio che si trova tra i 16 e 50 km dalla superficie terrestre, la molecola di ossigeno (che abbiamo detto essere costituita da due atomi di ossigeno legati) si rompe a causa dell’energia che viene fornita dal sole, portando alla formazione di due atomi di ossigeno.
Questi due atomi, però, invece di presentarsi con la classica coppia di elettroni che girano vorticosamente attorno al nucleo, sono sforniti di uno degli elettroni:
Come si legge?
La molecola di ossigeno (O2) si trasforma in due atomi di O (ssigeno) con un solo elettrone, triste e solitario (lo vedete il puntino a destra della O? Quello. E no, non è qualche cosa sul vostro schermo, è inutile che tentiate di grattarlo via) che si muove attorno ai confini (no, non dello spazio. Quello è un altro film).
Questi atomi “anomali” si possono ricombinare tra loro per tornare ad essere una molecola di ossigeno, oppure reagire da soli con una molecola di ossigeno per produrre ozono (O3):
Le medesime radiazioni del sole che hanno innescato le reazioni appena spiegate, sono in grado di innescare anche le reazioni inverse.
Ma stiamo divagando.
L’ozono è molto reattivo e da un punto di vista chimico viene considerato come un forte ossidante, cioè detto in parole masticabili, fornisce ossigeno.
La sua elevata reattività lo rende sia un ottimo battericida che un ottimo virucida.
Infatti, l’ossigeno che si sviluppa dalla degradazione dell’ozono reagisce sia con le componenti delle membrane cellulari dei batteri sia con i rivestimenti proteici dei virus alterandone le funzioni e distruggendoli.
L’ozono è stato usato – per esempio – per rendere le acque potabili fin dal 1893[1], mentre più recente sembra essere la scoperta della sua efficacia per l’eliminazione del SARS-COV2 dagli ambienti potenzialmente contaminati da tale virus[2].
L’ozono nella pratica agricola: una critica ai vantaggi dichiarati
È proprio grazie alla attività battericida/virucida dell’ozono che è nata l’idea di poter controllare le patologie che possono affliggere le viti mediante applicazione in pieno campo di acqua arricchita di questo gas.
I fautori dell’uso dell’ozono riassumono i suoi vantaggi nei seguenti punti[3]:
- L’ozono è generato in situ a basse pressioni e concentrazioni. Quindi, non c’è bisogno di usare sofisticati imballaggi per lo stoccaggio ed il trasporto;
- L’ozono ha un tempo di vita medio molto breve per cui un rilascio accidentale di questo gas non è pericoloso. La molecola di ozono si degrada in ossigeno stabile e non forma idrocarburi recalcitranti come fanno i pesticidi;
- L’esposizione accidentale ad elevate concentrazioni di ozono, cosa rara, può essere trattata e il recupero completo si ottiene in un giorno;
- Non vengono rilasciati residui. L’ozonizzazione non richiede lavaggi post-trattamento per rimuovere residui dalla superficie degli alimenti;
- Grazie al meccanismo di azione dell’ozono, non si possono sviluppare malattie ozono-resistenti;
- Se necessario, l’ozono può essere usato per ritardare la maturazione della frutta;
- L’ozono non è cancerogeno;
Vediamo di discutere i precedenti punti uno per uno.
Bisogna dire che non c’è nulla da eccepire per quanto riguarda il primo punto. Una breve ricerca in rete usando come parole chiave “generatori di ozono” produce 1.730.000 risultati in soli 0,79 secondi. Tra questi è possibile scegliere generatori di ozono casalinghi fino ad arrivare a quelli di tipo industriale con una gamma di prezzi veramente competitiva.
In pratica, oggi chiunque può avere accesso ai generatori di ozono per la disinfezione di ambienti. Quanto questi siano efficaci dipende, evidentemente, dalle caratteristiche tecniche degli stessi di cui non si discute qui.
Punto due. L’ozono non è esattamente innocuo. Del resto, se ha azione battericida e virucida non si può pensare che esso possa essere innocuo per l’uomo. Ed infatti se consultiamo il sito web dell’EPA (Environmental Protection Agency)[4] troviamo riportato questo:
“when inhaled, ozone can damage the lungs. Relatively low amounts of ozone can cause chest pain, coughing, shortness of breath and throat irritation. It may also worsen chronic respiratory diseases such as asthma as well as compromise the ability of the body to fight respiratory infections”.
In altre parole, inalazioni di ozono danneggiano i polmoni, irritano le vie aeree, peggiorano le malattie respiratorie croniche e riducono la possibilità da parte dell’organismo di combattere contro infezioni di tipo respiratorio. L’EPA, inoltre, evidenzia anche che
“some studies show that ozone concentrations produced by ozone generators can exceed health standards even when one follows manufacturer’s instructions. Many factors affect ozone concentrations including the amount of ozone produced by the machine(s), the size of the indoor space, the amount of material in the room with which ozone reacts, the outdoor ozone concentration, and the amount of ventilation. These factors make it difficult to control the ozone concentration in all circumstances”.
In pratica, bisogna fare attenzione all’uso dei generatori di ozono perché le concentrazioni di ozono dipendono da tanti fattori, non tutti facilmente controllabili. Quindi, chi usa i generatori di ozono dovrebbe anche far uso dei dispositivi di protezione individuale, come raccomandato dal D. Lgs 81/08, esattamente come chi, nella pratica agricola, fa uso degli agrofarmaci tradizionali.
Inoltre, bisogna anche rettificare una delle affermazioni al punto due dove si afferma che i pesticidi utilizzati in campo si degradano in idrocarburi recalcitranti.
Dal punto di vista strettamente scientifico questa affermazione non ha alcun senso. Gli idrocarburi sono composti contenenti solo carbonio e idrogeno. Sono idrocarburi, per esempio, gli alcani (formula bruta CnH2n+2), gli alcheni (formula bruta CnH2n) e gli alchini (formula bruta CnH2n-2).
Qui di seguito si riporta lo schema relativo alla degradazione del glifosate[5]:
Come si vede, nessuno dei prodotti di degradazione del glifosate è un idrocarburo.
Peraltro, la persistenza ambientale del glifosate va dai quattro giorni ai circa sei mesi in funzione del suo uso e delle condizioni sia del clima – in generale – che del suolo – in particolare – in cui tale erbicida viene utilizzato.
Le considerazioni relative al punto due si possono estendere anche al punto 3 perché, come evidenziato, non è vero che l’ozono è innocuo.
E, per aggiungere dettaglio a dettaglio, è il motivo per cui l’ozono viene utilizzato non in forma gassosa ma diluito in acqua in determinate percentuali che lo rendono meno pericoloso del suo fratellino gassoso (meno pericoloso, non completamente innocuo).
Per quanto riguarda il punto 4, non ci sono osservazioni da fare.
Per il punto 5, c’è da dire che la letteratura scientifica, neanche tanto recente, dimostra che possono svilupparsi organismi viventi resistenti alle proprietà dell’ozono anche come conseguenza di esposizioni ad elevate concentrazioni dello stesso[6]. Di conseguenza, quanto viene affermato in merito alla possibilità di non sviluppare organismi non ozono resistenti non è scientificamente attendibile.
Per quanto riguarda il punto 6 bisogna dire che è vero che l’ozono può ritardare la maturazione dei frutti, ma è anche vero che questo effetto si può ottenere solo quando vengono utilizzate elevate concentrazioni di ozono[7], con tutte le conseguenze di pericolosità che abbiamo evidenziato qui sopra.
Infine, è vero che l’ozono non è cancerogeno (punto 7), ma, come già evidenziato, può avere effetti negativi sull’attività respiratoria se gestito male e usato peggio.
Quali sono quindi le conclusioni?
Che non esistono pratiche agricole non impattanti sotto l’aspetto ambientale e sulla salute umana.
L’ozono nella pratica viti-vinicola
Nei limiti di cui abbiamo discusso prima, cerchiamo ora di capire se è possibile individuare una qualche efficacia dell’ozono nella pratica viti-vinicola e porre alcuni punti fermi sia, prima, sulla ricerca che si occupa di tale pratica sia, poi, sulle applicazioni pratiche.
Nel 2005, Mark et al.[8] hanno evidenziato come l’uso di acqua ozonizzata per la sanificazione delle botti di quercia riducesse la quantità di sostanze organiche volatili che si potevano trasferire dalle botti ai vini.
Nel 2010, Lucas et al.[9] hanno verificato l’efficienza dell’ozono nel ridurre la carica microbiologica nelle acque reflue provenienti dall’attività delle aziende vinicole.
Segate et al.[10] hanno, invece, valutato i cambiamenti organolettici indotti sul vino per effetto dell’ozonizzazione. Questi autori hanno potuto constatare che l’ozono incrementa la quantità di composti organici volatili quali linalolo, geraniolo e nerolo, tipici terpeni responsabili degli aromi floreali e di frutta nel Moscato bianco.
Più recentemente, nel 2019, è stato pubblicato uno studio su American Journal of Enology and Viticulture[11] in cui il gruppo del Professor Gerbi dell’Università degli Studi di Torino ha dimostrato per la prima volta che l’ozono può essere usato efficacemente per ridurre la popolazione di Brettanomyces bruxellensis sui grappoli d’uva nel post-raccolto.
Si tratta del lievito che induce uno dei grandi difetti del vino, il cosiddetto “carattere Brett”. In altre parole, conferisce al liquido odori che vengono in genere identificati come cane bagnato, urina di topo, sudore di cavallo, stalla, vernice e plastica.
Per evitare danni economici, lo studio ribadisce la necessità del controllo della popolazione del succitato lievito, controllo che viene normalmente effettuato usando anidride solforosa, dimetilcarbonato, conservazione del mosto a basse temperature e filtrazione.
Tuttavia, mentre la filtrazione riesce a rimuovere i lieviti ma non le molecole responsabili dell’effetto Brett, le altre condizioni possono influenzare gli aspetti organolettici del vino attraverso il loro effetto sia sulla fermentazione alcolica sia, in caso se ne faccia uso, su quella malolattica. L’uso dell’ozono, sia in soluzione acquosa (acqua ozonizzata) che direttamente in fase gassosa, consente di ridurre l’attività del Brettanomyces bruxellensis e, nello stesso tempo, la produzione di acido acetico normalmente presente nei vini.
Arriviamo ora ad uno degli studi più recenti e significativi che hanno trattato il tema dell’uso dell’ozono in vigna.
Campayo et al.[12] in un paper pubblicato nel 2020 hanno condotto una serie di esperimenti su uno dei vitigni più diffusi in Spagna, il Bobal. Questo studio entra nel punto delle questioni che volevamo prendere in considerazione e stabilisce, tra le altre cose, l’obiettivo di ricercare una valida alternativa ai trattamenti tradizionali che non presenti, tuttavia, delle conseguenze a loro parere altrettanto impattanti per l’ambiente.
L’ozono, nella tesi del lavoro, sembra potersi configurare come una buona soluzione. Secondo gli studiosi, il suo uso – sia in forma gassosa che in soluzione acquosa – sembra ottenere buoni risultati non solo nella gestione delle malattie delle piante – di cui le più frequenti sono quelle relative al tronco – ma anche nel miglioramento della qualità del grappolo.
Entrando nel dettaglio, gli scienziati hanno sperimentato l’uso dell’ozono sia attraverso l’endoterapia – ovvero l’iniezione di acqua ozonizzata nel tronco della vite – sia in combinazione con uno spray all’ozono.
I parametri tenuti in considerazione per valutare l’effettiva efficacia dei trattamenti, sono state le caratteristiche cromatiche, la maturità fenolica e l’indice del potenziale aromatico (il cosiddetto IPAv).
Nella sezione materiali e metodi gli scienziati spiegano come hanno proceduto, sia nella scelta dei filari che delle singole piante che, infine, delle piante di controllo. Sono presenti, inoltre, ulteriori dettagli relativi alla parte pratica dell’esperimento, per esempio come l’acqua ozonizzata è stata iniettata nel tronco delle piante.
A fine trattamento i grappoli raccolti a mano sono stati congelati a -18 (il congelamento porta alla rottura delle pareti cellulari con conseguenze sui successivi esperimenti che possono essere condotti, ad esempio, sul colore).
Inoltre, l’analisi colorimetrica è stata condotta con alcune procedure tradizionalmente usate in enologia: in pratica, si usa un parametro che si chiama “assorbanza” il cui valore è direttamente proporzionale alla concentrazione delle molecole che determinano il colore.
Nell’analisi chimica, in genere, l’assorbanza viene relazionata alla concentrazione di molecole cosiddette “standard” per ottenere quelle che vengono definite “curve di calibrazione”.
L’uso di queste curve non solo consente di trasformare l’assorbanza in concentrazione di molecole ma anche di controllare l’attendibilità strumentale.
Infatti, nel tempo, gli strumenti che vengono utilizzati per tali analisi tendono a perdere di efficienza; pertanto, i valori di assorbanza misurati in un determinato momento possono differire – a parità di concentrazione – dai medesimi valori misurati in un momento successivo. Inoltre, l’assenza di controllo nel caso in cui la concentrazione superi determinate soglie può determinare il presentarsi di misurazioni artefatte.
Ora, tornando allo studio qui sopra menzionato, i valori di assorbanza sono stati utilizzati – e riportati – in modo assoluto, cosa che renderebbe discutibile tale parte dello studio.
Ebbene, dopo quanto sopra esposto in merito ai metodi e alla parte di analisi degli esperimenti condotti dagli studiosi sul varietale spagnolo Bobal, le conclusioni del paper stabiliscono che il trattamento endoterapico favorisce la cromia del grappolo e l’accumulo di composti polifenolici. Di contro, i due trattamenti associati – ovvero quello endoterapico e quello spray – hanno un effetto peggiorativo sul colore e sul contenuto fenolico. Inoltre, malgrado la sintesi dei polifenoli risulti incrementata, l’estraibilità delle antocianine subisce una riduzione.
Per quel che riguarda, inoltre, la parte aromatica, entrambi i trattamenti riducono la presenza di precursori glicosilati, sebbene alcune componenti volatili sembrino incrementate.
Per finire, l’uso dell’acqua ozonizzata sembra aumentare la componente aromatica legata alle note di frutta ed esercitare una qualche influenza sugli attributi varietali del vino.
Per gli studiosi, che per sostenere le loro tesi si rifanno anche alla letteratura pregressa, questa dell’acqua ozonizzata – anche dopo tutti i punti sopra elencati – potrebbe essere una valida alternativa ai trattamenti di sintesi per combattere le malattie e incrementare la qualità delle uve.
Conclusioni
La letteratura sull’applicazione terapica dell’ozono, sia in forma acquosa che in forma gassosa in vigna, non si esaurisce certo con queste poche note desunte da qualche articolo scientifico.
Tuttavia, da queste poche annotazioni si può solo riconfermare che gli studi non sono approdati ad una conclusione consolidata che possa supportare la tesi iniziale di una alternativa convincente e innocua all’uso di agrofarmaci nella lotta alle malattie delle piante.
A maggior deterimento dell’entusiasmo che suscita tale pratica, si può anche aggiungere che alcuni esperti hanno rilevato che un eccesso di ozono induce riduzioni di vigoria, di accumulo di sostanza secca e, ancora, una accelerazione della senescenza, promuovendo la sintesi di radicali liberi ossigenati.
È anche possibile che ciò possa non accadere con un trattamento puntuale ma sarebbe comunque il caso di approfondire tali punti oltre che eventuali possibili effetti su foto-inibizione e longevità fogliare.
L’ozono è pericoloso due volte: da un lato perché provoca asfissia, dall’altro perché i suoi prodotti di degradazione sono fortemente ossidanti; per tale motivo è necessario, in ogni caso, prevedere l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale per evitare problemi, anche seri, nel suo uso nell’attività in campo.
Inoltre, da quanto studiato, appare chiaro che l’ozono non è per nulla neutro rispetto alla vite e, soprattutto, al vino. Dai dettagli dei pochi studi recenti, l’ozono sembra influenzare non solo la biochimica della vite ma anche i caratteri varietali e organolettici del vino.
Non ci sembra, quindi, che lo stato dell’arte in merito a tale tecnica possa definirsi robusto e confermato, soprattutto nella sua lodevole aspirazione a candidarsi a valida nonché “naturale” alternativa all’uso degli agrofarmaci. Rimane quindi solo da attendere che ulteriori esperimenti vengano portati avanti e altre ipotesi vengano messe in discussione per poter capire se sia il caso di proseguire su questa strada o abbandonarla come uno dei vari vicoli ciechi della scienza.
[1] Ozone Disinfection, https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/B9780124158467000330
[2] Safe and Effective Use of Ozone as Air and Surface Disinfectant in the Conjuncture of Covid-19, https://www.mdpi.com/2673-5628/1/1/2
[3] Using Ozone for Integrated Pest Management in Viticulture, https://krex.k-state.edu/dspace/bitstream/handle/2097/32888/Bhadra_ResourceMagazine_2015.pdf?sequence=1
[4] https://www.epa.gov/indoor-air-quality-iaq/ozone-generators-are-sold-air-cleaners
[5] Glifosato miti e leggende (http://www.pellegrinoconte.com/2020/05/04/glifosato-miti-e-leggende/); Del glifosate e altri racconti fantastici (https://vinosa.it/del-glifosate-e-altri-racconti-fantastici/)
[6] Davidson & Reiling, New Phytol. (1995), 131, 337-344 (https://bit.ly/3xx26vx); Lyons et al., New Phytol. (1997), 136, 503-510 (https://bit.ly/3xGwKCR)
[7] Ong & al., Scientia Horticulturae (2014) 179, 163-169 (https://bit.ly/3wF7lsW); Minas & al. (2012), Journal of Experimental Botany, 63, 2449–2464 (https://bit.ly/35Bw4Tf)
[8] Mark & al. (2005) Am. J. Enol. Vitic. 56: 46-51 (https://bit.ly/3qe5vgr)
[9] Lucas & al. (2010) Separation and Purification Technology 72, 235-241 (https://bit.ly/2SfnMxh)
[10] Segate & al., (2017) Scientific Reports 7, 16301 (https://www.nature.com/articles/s41598-017-16529-5)
[11] Englezos & al. (2019) Am J Enol Vitic. 70, 249-258 (https://www.ajevonline.org/content/70/3/249)
[12] Campayo & al. (2020) Agronomy 10, 1218 (https://www.mdpi.com/2073-4395/10/9/1218)