Il Professor Emilio Celotti è un esperto enologo dell’Università degli Studi di Udine.
È attualmente presidente della Società Italiana di Viticoltura ed Enologia (SIVE) che raggruppa tutti gli esperti di settore al fine di promuovere non solo la ricerca scientifica nell’ambito viti- vinicolo, ma anche di favorire percorsi di formazione ed aggiornamento professionale per tutti gli addetti ai lavori o per chi si vuole avvicinare al mondo dell’enologia. L’attività di ricerca del Professor Celotti è incentrata sullo studio dei sistemi per il controllo qualità delle uve e la gestione dei processi di trasformazione, sulle tecniche enologiche a basso impatto, sullo sviluppo di strumenti innovativi per il controllo di stabilità dei vini e moltissimo altro ancora di cui parleremo nell’intervista.
Professor Celotti, ci possiamo dare del tu?
Ma certo!
Domanda d’obbligo: ci parli un poco del tuo percorso accademico e di come nasce la tua passione per l’enologia?
Cominciamo dalla passione per l’enologia.
Le mie origini contadine mi hanno portato a conoscere ed apprezzare fin da piccolo molte attività agricole, tra queste l’arte di fare il vino. A seguire, una serie di coincidenze durante il percorso formativo, mi hanno condotto al settore vitivinicolo del quale mi occupo a tempo pieno da molti anni.
L’esordio è stata la Scuola Enologica di Conegliano che ho frequentato a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, dove mi sono diplomato Enotecnico nel 1983.
Per il diploma di scuola superiore ho avuto anche l’opportunità di fare alcuni lavori sperimentali che sono stato il mio primo approccio alla ricerca scientifica. Subito dopo ho intrapreso il percorso di laurea in Scienze Agrarie all’Università di Udine elaborando una tesi di Laurea su tematiche di enologia che tra l’altro sono di estrema attualità oggi: i temi erano la raccolta differenziata dell’uva allo scopo di produrre non solo vino ma anche succhi acidi e bevande a basso grado alcolico. Subito dopo è arrivato il Dottorato di Ricerca in Biotecnologie degli Alimenti con focus su tecnologie innovative in vinificazione.
Il periodo di dottorato ha segnato la svolta per la mia attività di ricerca che guarda sempre alle problematiche della filiera vitivinicola ed è orientata verso ricerche ad alta trasferibilità nel mondo produttivo.
Dopo un breve periodo nel settore R & D di un’azienda privata che ha supportato il dottorato di ricerca e che opera nel settore enologico, sono rientrato nel mondo universitario dove svolgo da diversi anni attività di ricerca e docenza nel settore enologico presso il Dipartimento di Scienze Agroalimentari, Ambientali e Animali dell’Università di Udine. Tra una ricerca e l’altra e tra un insegnamento e l’altro coordino i corsi di Laurea Triennale in Viticoltura ed Enologia e Magistrale Interateneo in Viticoltura, Enologia e Mercati Vitivinicoli.
Sai che sono in difficoltà? Ho visto le tue pubblicazioni e sono tutte talmente interessanti che non so cosa chiederti prima.
Una cosa che mi incuriosisce è l’uso della sonicazione in fase pre-fermentativa nei processi di vinificazione.
Cos’è la sonicazione e perché la si utilizza per fare il vino?
Da anni ci stiamo dedicando allo sviluppo della tecnologia ad ultrasuoni in vinificazione come tecnica innovativa a basso impatto nella filiera vino. Si tratta di un semplice procedimento fisico che consente di agevolare le tradizionali operazioni di macerazione delle uve bianche e rosse.
Il risultato è un risparmio energetico e una diminuzione dei costi di produzione senza intaccare minimamente la qualità del vino.
In pratica, si tratta di una tecnologia a basso impatto che troverebbe ottime applicazioni in vinificazione.
Oltre all’aspetto puramente tecnico-scientifico del procedimento ad ultrasuoni, abbiamo dedicato anche molti sforzi per ottenere lo scorso anno l’autorizzazione all’utilizzo enologico dall’OIV (Organisation International de la Vigne et du Vin), ente sovranazionale che detta le regole dell’enologia mondiale.
Manca solo la pubblicazione in Gazzetta UE – che avverrà a breve – per poter utilizzare tale tecnica in cantina.
Attualmente stiamo approfondendo alcune tematiche sempre legate all’impiego degli ultrasuoni in diverse fasi della vinificazione.
Ho visto che hai fatto un po’ di studi sui tioli. Ci puoi parlare del loro ruolo nei processi di vinificazione e di come i loro precursori possono essere influenzati dalla sonicazione?
L’argomento tioli è molto importante in quanto riguarda una categoria di aromi del vino molto delicata e non di semplice gestione, in particolare per le uve Sauvignon Blanc dove conferiscono aromi caratteristici che ricordano la frutta tropicale, il pompelmo, il frutto della passione e altri .
Proprio per questo motivo abbiamo cercato di verificare l’impatto degli ultrasuoni sui tioli delle uve, i risultati sono incoraggianti e consentono di intravvedere buone potenzialità degli ultrasuoni anche per la gestione degli aromi del vino.
Il lavoro sui tioli si è svolto in collaborazione con i colleghi della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige che da anni hanno sviluppato tecniche analitiche all’avanguardia in grado di determinare specifiche sostanze aromatiche.
So che sei autore di sei brevetti. Di questi, uno riguarda il controllo rapido della maturità fenolica delle uve ed uno il controllo rapido della stabilità proteica dei vini. Ce ne puoi parlare? Perché è necessaria la rapidità?
Il naturale risultato della ricerca di tipo applicativo sono i brevetti realizzati, in particolare il sistema di controllo della qualità fenolica delle uve rosse e il test di stabilità proteica sono esempi di rapidità di esecuzione per avere informazioni immediate durante la vendemmia o durante il controllo dei vini.
Un grosso problema del periodo di vendemmia e vinificazione è il tempo, di conseguenza servono sistemi di controllo a vario livello estremamente rapidi, in grado di fornire risposte just in time all’enologo.
Tali risposte serviranno poi a prendere decisioni importanti per la gestione dell’uva o del vino.
Uno dei tuoi ultimi lavori riguarda l’uso di coloranti naturali ottenuti dai processi di vinificazione per la produzione di pannelli solari.
Questa cosa è alquanto intrigante perché dà una nuova dimensione al concetto di sostenibilità. Cosa è per te la sostenibilità? E quanto i precetti della Brundtland possono essere ancora attuali nell’anno 2020 a tuo parere?
Fare il vino non significa dedicarsi solo alla trasformazione dell’uva in vino, significa guardare anche a come è gestita la vigna e riutilizzare tutti gli scarti della vinificazione, comprese fecce e vinacce.
Va fatto, cioè, un discorso di filiera e di sostenibilità in tutte le sue accezioni, dall’ambientale all’economica.
In questo contesto molto attuale della ricerca si inquadra il lavoro svolto in collaborazione con i colleghi dell’Università Ca’ Foscari di Venezia che prevede la realizzazione di celle fotovoltaiche di nuova generazione dove il motore pulsante è una sostanza colorante come quella contenuta nelle fecce e nelle vinacce dopo la vinificazione: in sostanza, i polifenoli di scarto di vinificazione che, in questa applicazione, diventano la parte attiva nella produzione di energia elettrica dalla cella fotovoltaica.
Già che siamo in tema, i pannelli solari che contengono le molecole ottenute dalle fecce sono più o meno efficienti rispetto a quelli attualmente disponibili?
Le celle alimentate dai polifenoli ricavati dalla vinificazione hanno una resa inferiore alle tradizionali celle al silicio, tuttavia sono molto più green e rientrano tra le tecniche sostenibili dal punto di vista ambientale.
La mia opinione sulla sostenibilità è ovviamente positiva visti i principi a cui si ispira, tuttavia devo dire che se analizziamo tali principi, più o meno catalogati a vario livello, si tratta di aspetti che dovrebbero accompagnare sempre un settore produttivo nel rispetto dell’ambiente, della salute del consumatore, senza dimenticare gli aspetti culturali, sociali ed economici. Ritengo che tali principi debbano far parte dell’etica professionale di ognuno di noi in ogni settore produttivo, senza essere imposti.
La stessa OIV ha predisposto una bozza per catalogare i principi della sostenibilità; è ovvio però che, al di là della catalogazione, tutto dipende da come viene gestito l’equilibrio tra i diversi principi.
Se prevale quello economico, è evidente che il sistema implode; servono allora precise regolamentazioni per far sì che i principi suddetti vengano rispettati a vantaggio dell’intero sistema produttivo, dell’ambiente e di noi consumatori.
In definitiva, la sostenibilità va realizzata con azioni che siano a beneficio anche per le generazioni future, dando senso al vero significato della sostenibilità che è “durabilità”.
Domanda provocatoria numero 1.
Ipotizziamo che ti fosse messo a disposizione un fondo illimitato da poter gestire per la viticultura. Non hai vincoli, non hai controlli, nessuna necessità di rendicontazione e nemmeno limitazioni di spazio. Puoi decidere tu il territorio. Un sogno, insomma. Cosa faresti?
Premetto che comunque vorrei avere il controllo di come spendo i soldi, non vorrei avere limiti su voci di spesa in quanto su progetti nuovi è impossibile stabilire a priori quanti soldi servono per una voce piuttosto che un’altra.
Questo è quello che succede nella gestione di progetti con vincoli di spesa che devono essere definiti prima.
Sì sì, assolutamente senza vincoli e con il domino nelle tue mani.
Allora, se avessi fondi illimitati li investirei su progetti dedicati alla viticoltura nelle zone vocate e allo sviluppo di tecnologie innovative di vinificazione a basso impatto. Per questo servono attrezzature all’avanguardia per le analisi di laboratorio e personale qualificato per tutte le attività di ricerca.
Di conseguenza, oltre alle attrezzature investirei in personale, altrimenti ogni investimento in strutture diventerebbe sterile.
Insomma, se dobbiamo sognare allora facciamolo alla grande!
Inoltre, non investirei nulla per sviluppare la viticoltura in zone non vocate o addirittura ostili alla vite, solo per seguire mode.
Potenzierei, invece, ricerche per valorizzare la viticoltura nelle zone vocate e per esaltare i caratteri di tipicità del vino del territorio.
Conosciamo molte cose del vino, ma molte rimangono ancora da scoprire, in particolare il delicato equilibrio delle sostanze aromatiche che inevitabilmente deve essere gestito con la corretta applicazione dei diversi processi della vinificazione.
Domanda provocatoria numero 2.
Oggi la moda è la produzione di vini biodinamici. Cosa pensi di questa pratica?
Sul biodinamico entriamo in un tema al limite tra empirismo e scienza. Tutte le attività previste dal sistema biodinamico sono rispettabilissime, tuttavia alcune pratiche rimangono non dimostrate e non dimostrabili scientificamente.
Diventa pertanto una questione di principio l’utilizzo o meno di tali metodi.
Per quanto mi riguarda, non sono contrario a priori; sono invece favorevole alla corretta applicazione di tutte quelle pratiche che consentano di ottenere un prodotto nel rispetto, ad esempio, della sostenibilità.
Attualmente si può ottenere un prodotto che rispetta i principi della sostenibilità con una corretta applicazione delle tecniche, ovviamente nell’ottica di ridurre al minimo gli input in vigneto e in cantina.
Recentemente è entrato nella dialettica del settore anche il “vino naturale”. Per me il nome non è casuale, credo inoltre che il consumatore comune sia indotto a credere che tutti gli altri vini non siano naturali. Sinceramente spero che non venga catalogato tale termine per definire i nostri vini.
Eh, purtroppo, invece, sta prendendo sempre più piede e la platea di consumatori interessati a questa tipologia sta crescendo sempre di più.
Ultima: vini francesi o italiani?
Direi entrambi.
Abbiamo eccellenze in Italia e Francia, ognuna con le proprie specificità e qualità da apprezzare. Aggiungerei anche altre zone europee e mondiali, ma la lista sarebbe lunga.
Sta al viticoltore e all’enologo mantenere e valorizzare con buone pratiche viticole ed enoiche queste eccellenze enologiche provenienti da zone altamente vocate alla viticoltura.
Cin cin allora!