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Il vino nella scienza e la scienza del vino. Quattro chiacchiere con l’agronomo: Sergio Saia

Quando beviamo un bicchiere di vino, pensiamo al suo impatto ambientale?

Oggi facciamo quattro chiacchiere con un agronomo davvero bravo, Sergio Saia.

Un po’ di bio: Sergio ha una laurea in Scienze e Tecnologie Agrarie, un master in SIstemazione dei Bacini Montani (SIBS), uno in Spettrometria di Massa e Applicazioni (SMA) e un dottorato in Agro-Ecosistemi Mediterranei (AEM).
Ha anche un’azienda agricola di famiglia, in Sicilia, dove produce uva da mosto, mandorle, frumento duro e diverse leguminose. Sergio è anche ricercatore al Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria (CREA) e docente a contratto di Agronomia e Coltivazioni Erbacee presso l’Università di Pisa; infine, è stato anche docente a contratto di Orticoltura presso l’Università Politecnica delle Marche.

Ci diamo del tu?

Certo, è un piacere.

D. Ci racconti un po’ di te e del tuo iter di studi tra i vigneti e i suoli?

R. Sono un amante della ricerca scientifica e del metodo scientifico. Non c’era materia nel mio corso di studi di cui non mi sia innamorato e nella quale non avrei voluto proseguire con la mia attività.

D. Ah, e ti sei messo a studiare quindi i vigneti o l’enologia?

R. No, ha prevalso in me l’amore per la relazione tra piante (soprattutto erbacee e ortive) e il suolo, sia le componenti “vive”, ossia i microrganismi e in particolare quelli benefici per le piante, sia altre componenti (la sostanza organica). Ma poco prima del dottorato sono stato attratto dagli studi sull’erosione del suolo, che ho intrapreso per un anno, poi interrotti e, infine, ripreso recentemente. Tutti, ad ogni modo, sono aspetti che riguardano direttamente la sostenibilità ambientale dei sistemi agricoli.

D. E tra queste attività, qualcosa riguarda i vigneti?

R. In realtà tutte, sebbene le mie ricerche non siano sui vigneti (almeno al momento). La vite interagisce in maniera strettissima con i microrganismi del suolo, dei quali quelli benefici possono contribuire moltissimo a determinare le caratteristiche dell’uva e del vino (guarda, a titolo d’esempio, qui: https://doi.org/10.3389/fmicb.2017.00821). E non credo serva specificare il ruolo del terroir (nel quale la componente organica del suolo ha un’importanza notevole).

D. Bello. E questi microrganismi si possono usare? Si possono inoculare al suolo e averne un effetto benefico per i vigneti?

R. I microrganismi che studio sono quasi sempre benefici e raramente non comportano un beneficio. In campo, non comportano mai danni. Sono simbionti mutualistici delle piante: sia la pianta, sia il microrganismo ricavano un vantaggio dallo stare insieme. La natura dà un enorme valore alla diversità.  In particolare, tali microrganismi (alcuni funghi e alcuni batteri) aiutano ad assorbire le sostanze nutritive, stabilizzano il carbonio organico, forniscono una protezione parziale nei confronti dei patogeni e anche di alcuni stress abiotici (tra cui lo stress da carenza idrica). Ma per la vite non è possibile stabilire quando, quanto e come e su cosa esplicheranno il proprio effetto benefico. E men che meno se questo beneficio sarà tangibile per il viticoltore o l’enologo.

D. Ecco, sapevo io che c’era il trucco. Ma perché per la vite non è possibile e per altre specie vegetali sì?

R.  Perché gli studi sulla vite e in genere sulle colture arboree sono pochissimi e gli studi sui microrganismi, sopratutto quando condotti in pieno campo e non in ambiente controllato, sono difficili, lunghi e costosi. La maggior parte degli studi sono su colture erbacee e ortive e raramente vengono studiate colture perenni legnose, sia agrarie, sia forestali. Qualcuno ha anche sollevato recentemente il problema (https://doi.org/10.3389/fmicb.2019.02679).

D. E dunque?

R. Li si usa comunque, visto che la probabilità che non siano benefici è pressappoco nulla. Al contempo, è comunque possibile usare biostimolanti diversi dai microrganismi, di cui già si conosce il beneficio (https://doi.org/10.1002/jsfa.9353). Ma i microrganismi e i biostimolanti in genere non sono l’unica strategia per migliorare la sostenibilità degli ecosistemi viticoli e in particolare dei vigneti. Altri aspetti sono probabilmente più importanti.

D. Ecco, questo è interessante. Quali?

R. La qualità dell’uva e del vino dipendono in maniera notevole dal tenore in sostanza organica del suolo, il quale a sua volta influenza anche i microrganismi, sia quelli nativi, sia quelli inoculati. I vigneti hanno però un problema serio con il suolo che pregiudica il suo tenore in sostanza organica. Su questo termine (sostanza organica) pur non amando affatto certi nomi popolari, voglio comunque ricordare il modo in cui è chiamata da qualche agricoltore: “forza vecchia”. E infatti la sostanza organica stabile del suolo contribuisce moltissimo alla fertilità dello stesso, regola il pH, aiuta a mantenere le riserve idriche, alimenta i microrganismi, aiuta a solubilizzare gli elementi.

Tuttavia, i vigneti sono spesso in ambienti montani o collinari, in pendenza e spesso in aree molto piovose, tutte condizioni che favoriscono l’erosione del suolo e con essa la riduzione di sostanza organica.
E infatti i vigneti sono spesso più erosi di altre colture (https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0012825217305433)

D. Ah, ecco.

R. Eh, sì. L’erosione può essere contenuta con molte strategie che peraltro favoriscono anche la fertilità del suolo nei vigneti, ma devo -ahinoi- riconoscere che nei vigneti tali strategie possono anche comportare problemi qualitativi all’uva se mal gestite (https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0167880917304309). Mi riferisco soprattutto alle cover crop (una pratica di agricoltura conservativa). Ad ogni modo, i benefici delle cover crop sono di gran lunga più frequenti e più importanti dei disservizi e la loro gestione non è particolarmente complessa. E oltre alle cover crop, anche le fertilizzazioni organiche aiutano molto a conservare la sostanza organica in vigneto (https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0167880916305333)

Cover crops

D. “Organiche”… ne parlano spesso i sostenitori dell’agricoltura biologica.
Cosa ne pensi della viticoltura biologica e della qualità dei vini biologici

R. Premetto che stavolta la risposta sarà molto lunga e, a scanso di equivoci, vorrei anche sottolineare che la mia attività di ricerca va a beneficio prevalentemente dell’agricoltura biologica. Come accennavo, mi occupo di microrganismi benefici: lo faccio prevalentemente in assenza di fertilizzazione minerale. Mi occupo altresì di contenimento delle malerbe in assenza d’uso di principi attivi di sintesi e di strategie a lunga durata (genetica) per il contenimento dei patogeni. Tutti aspetti estremamente necessari in biologico e di gran lunga meno importanti in convenzionale, dove si possono usare fertilizzanti e principi attivi di sintesi. Ho quindi un forte conflitto d’interesse nel settore. Ma come vedrai fra poco, è un conflitto d’interesse al contrario. In sintesi, dirò qualcosa che va apparentemente contro i miei interessi.

D. mmm, interessante. Cosa?

R. In poche parole, faccio poco affidamento sull’agricoltura biologica, ivi inclusa la viticoltura biologica!

D. E perché?

R. Per due ragioni, una agro-ambientale, l’altra relativa alla qualità dei vini (per estensione, potrei parlare di altri prodotti, ma vista presenza in VinOsa…).

La ragione agro-ambientale riguarda l’uso notevole, in agricoltura biologica (ivi inclusa in viticoltura), della lavorazione del suolo per contenere lo sviluppo delle malerbe e favorire la mineralizzazione della sostanza organica, sia essa nativa, sia aggiunta.

D. Fermo, devo fermarti, per favore! Ma avevi detto che la sostanza organica è una “forza vecchia”, è buona, fornisce molti benefici, perché gli agricoltori dovrebbero voler mineralizzarla

R. Gli agricoltori nei fatti non hanno desiderio di mineralizzarla, ma in biologico, spessissimo, la disponibilità di nutrienti per la pianta è contenuta e la mineralizzazione fornisce elementi disponibili per la pianta.
Ad ogni modo non è nemmeno l’aspetto più importante della questione: nei fatti gli agricoltori vogliono contenere le malerbe, in biologico contenerle è complesso e le lavorazioni aiutano molto, ma gli effetti controproducenti delle stesse disavanzano ampiamente i benefici. Contengono le malerbe, ma riducono la sostanza organica. Tuttavia in biologico è obiettivamente complesso contenere le malerbe. In viticoltura e nelle colture arboree è più semplice che nelle erbacee, ma comunque le stesse possono porre problemi.

D. non per voler glissare sugli aspetti ambientali, ma l’altra ragione? Quella relativa alla qualità dei vini? Sai, interessa abbastanza ai lettori del blog

R. Beh, la qualità di un vino, come so che sai anche meglio di me, è un parametro multifattoriale. Non è facile stabilire quali siano gli aspetti che contribuiscono alla qualità di un determinato vino, ma ad ogni modo si riesce ad arrivare a valutazioni concordi da panel di esperti. Questi parametri di qualità (alcuni dei quali molto ben studiati) dipendono sia dalla qualità delle uve, sia dalla qualità del processo di vinificazione.

D. E lo sappiamo bene, ma dove vuoi arrivare?

R. Voglio arrivare a due assunti fondamentali e acclarati: il primo è che la qualità delle uve da agricoltura biologica non è necessariamente migliore rispetto a quella delle uve da agricoltura non biologica (non amo il termine “convenzionale” e ritengo che i prodotti biologici siano più “convenzionali” dei prodotti convenzionali).

[ – OMG! -]

Il secondo riguarda i processi di vinificazione propriamente detti: ottime uve biologiche possono fornire pessimi vini se la vinificazione non è ben fatta, ma spessissimo accade che a un prodotto biologico, inclusi i vini, vengono condonati molti difetti perché “biologico”.

D. Eh, in effetti a volta succede.
E dei vini biodinamici cosa ne pensi?

R. L’agricoltura biodinamica è una pratica pseudo-scientifica. Gli aspetti peculiari della biodinamica (ossia gli aspetti che la distinguono dall’agricoltura biologica) non hanno alcun fondamento, né mai è stata portata evidenza in materia.
Detto ciò, tanto l’agricoltura biologica, quanto quella biodinamica sono delle mere certificazioni di processo (la prima pubblica, la seconda privata, sebbene vi siano diatribe in merito) e non implicano avere prodotti più o meno salubri o più o meno impattanti o con maggiore o minore qualità rispetto a prodotti senza queste certificazioni.

D. ma non ci hai detto cosa ne pensi dei vini… 🙂

R. A onor del vero non sono un assiduo bevitore di vino e in genere di alcolici. Ne bevo pochissime quantità, occasionalmente e in compagnia. E tantomeno ho il vezzo di ritenermi un esperto di vini. Ma ho avuto la fortuna di viaggiare molto e provarne diversi, dei più diversificati. E di amare appunto provarne di nuovi, per la curiosità di conoscerne il sapore.

D. Bene, e nei confronti dei vini biologici e biodinamici cosa hai trovato?

R. Alcuni sono decisamente imbevibili, altri passabili, altri piuttosto buoni. Nel complesso, non ho trovato che il sistema di certificazione dell’uva o del vino siano un discriminante oggettiva.
L’argomento mi interessa molto e ho anche cercato la letteratura scientifica nel settore. Cito un solo lavoro a titolo d’esempio, ma la gran parte dei lavori arriva alle stesse conclusioni (https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S030881461930963X). Devo anche sottolineare un potenziale problema di molti lavori scientifici sulla qualità del vino.

D. ottimo, ci fa piacere quando un ricercatore sottolinea i problemi della ricerca.

R. Si, in molti lavori noto uno spendere e spandere delle informazioni relative ad anti-ossidanti, presenza di residui potenzialmente dannosi (siano essi di prodotti naturali o meno), etc. E questo mi va bene. I ricercatori spesso prediligono le misure strumentali proprio perché prescindono (almeno per buona parte) dalla sensibilità personale. Tuttavia nelle “discussioni” (una parte fondamentale degli articoli scientifici) dei lavori, spesso  si glissa sul fatto che un vino, quantunque alta possa essere la sua concentrazione in resveratrolo o altri composti ritenuti benefici, contiene sempre alcool, un composto i cui rischi sono acclarati.

D. ritenuti… questa è una provocazione?!

R. No, lungi da me. Sono “ritenuti” benefici perché il beneficio di tali composti è rilevabile solo quando assunti in dosi elevatissime, che nemmeno un bevitore incallito di vino riesce a raggiungere. E per assumerli, si assume obbligatoriamente l’alcool, che fa danno anche a basse dosi.

D. mi sa allora che sei qui proprio per provocare?! Dovremmo quindi smettere di bere vino e altri alcolici? Magari proibirli?

R. No, voglio precisare. In primis, sono profondamente contrario alle proibizioni. Sono contrario perfino a proibire il fumo, che odio in maniera radicale. Ma negare i rischi dell’alcool sarebbe ingiusto. Illudersi che bere alcolici, anche moderatamente, possa non comportare rischi è da ipocriti o, nel migliore dei casi, da disinformati. E purtroppo le aziende del settore cavalcano spesso questa disinformazione.

D.  ok, hai fatto l’invettiva, adesso mi aspetto l’apologia.

R. E non tarderà ad arrivare. Il rischio a cui una persona è esposta non deriva solo dall’alcool. L’alcool è uno di molti rischi, sono dell’avviso che si debba essere informati sui rischi e coscienti che tutti concorrono a mettere a rischio la persona. Nell’ipotesi di amare il vino o gli alcolici, il bevitore dovrebbe premurarsi di ridimensionare gli altri rischi per la salute, molti dei quali, al giorno d’oggi, sono legati proprio alle scelte personali (fumare, bere alcolici, essere sedentari, avere diete sbilanciate, troppo caloriche, troppo grasse, con poche fibre, con poca frutta). In ogni caso, sono sempre dell’avviso che si possa bere senza l’illusione di star facendo qualcosa di buono per la propria salute. Si può bere benissimo coscienti che è un rischio e cercare di contenerlo il più possibile.

D.  beh, come non essere d’accordo. Quali vini ti piacciono?

R. Nel complesso preferisco i vini rossi, corposi, ad alta gradazione alcolica. Ho in mente i piemontesi e i toscani. Per i bianchi, il nord-est, a mio parere, non ha rivali.
Ma bevo poco, come ho già detto, anche perché quando poi vado a lavorare in campo se ho bevuto, con il sole sulla testa, è difficile rimanere concentrati!

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